VEGLIA MISSIONARIA DIOCESANA – INTERVISTA AL MISSIONARIO DON CARLO IADICICCO

Organizzata dall’Ufficio Missionario Diocesano guidato da don Carlo Busiello e presieduta da Mons. Pietro Lagnese, si è tenuta sabato scorso 17 ottobre presso la Basilica di S.Maria Maddalena in Casamicciola, la Veglia Missionaria, proprio alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale 2015 dal tema: “Dalla parte dei poveri”.

 

Veglia missionaria Maddalena 2015 (1)Francesco Schiano – Dopo l’ascolto del passo di Vangelo in cui Gesù ci  presenta l’immagine del Buon Samaritano, ha preso la parola don Carlo Iadicicco, già fidei donum della diocesi di Capua, che dopo circa 35 anni in Perù ha fatto ora ritorno nella sua Chiesa locale. “Don Carlo Iadicicco – scriveva l’allora Vescovo di Capua Bruno Schettino – si è fatto contadino, muratore, condividendo in pieno il destino di un popolo, per salvarne la radice culturale, l’identità e la sopravvivenza”. E così è stato per davvero per questo sacerdote che pur in mezzo a mille difficoltà, non ultima quella di dover imparare una lingua a lui sconosciuta, ha mantenuto fede alla sua vocazione missionaria portando con sé la gioia di una fede semplice e pura che continua a diffondere nel suo cammino che ora proseguirà su mandato del Vescovo di Capua Salvatore Visco, presso il litorale Domizio.

“Questi anni in Perù – ha sottolineato il nostro Vescovo Pietro – sono stati per don Carlo una grazia speciale che proseguirà sul litorale domizio, lì dove il Vescovo lo ha inviato perché continui ancora la sua missione in mezzo ai bisognosi e ai poveri, in quella parte di territorio della Diocesi di Capua dove c’è una sorta di enclave africano. Sono certo che se don Carlo facesse ora un bilancio della propria vita potrebbe dire certamente Grazie a Dio per il bene che gli ha concesso di fare e per il tanto bene che gli ha dato di ricevere; anche io, che lo ho avuto come parroco, sento il bisogno di ringraziarlo per tutto quanto mi ha trasmesso; gli ho servito Messa fino a quando lo vidi prepararsi alla Missione andando a lavorare come muratore, come manovale, per prepararsi a stare  con i poveri ed aiutarli nella loro vita di tutti i giorni, testimoniando a me e a tutti la gioia che lui aveva trovato nel donarsi ai fratelli”.

Al termine della Veglia abbiamo avuto modo di incontrare don Carlo Iadicicco, con il quale abbiamo approfondito alcuni aspetti della sua esperienza di sacerdote e missionario in questi anni.

Don Carlo, parlaci della tua vocazione missionaria

“Sono don Carlo Iadicicco, sacerdote fidei donum della Diocesi di Capua. Si tratta di quel gruppo di preti che si ispirano a questa grande iniziativa nata ai tempi di Paolo VI, per andare in aiuto alle Chiese dove c’è bisogno di aiuto e necessità di sacerdoti. Così 35 anni fa partii da Materdei (Napoli) per un’esperienza missionaria in Perù sulla Cordigliera delle Ande tra i campesinos; io provenivo già da Vitulazio che è il paese nativo del Vescovo di Ischia mons. Lagnese, e tra l’altro io sono stato anche suo parroco prima di andare a Materdei. Ma proprio da Materdei, con la benedizione dell’allora cardinale Ursi passai ad un’esperienza missionaria in Perù dove sono rimasto e ho rinnovato costantemente il mio impegno missionario prima a servizio della Diocesi di Chimbote (naturalmente in sintonia con la mia Diocesi di Capua), poi del vicariato apostolico di Sanramon nella selva centrale del Perù”.

Veglia missionaria Maddalena 2015 (2)Qual è stata la tua esperienza col prossimo beato mons. Oscar Romero?

“A pochi mesi dal mio arrivo in Perù mentre stavo dicendo Messa mi interruppero durante la Celebrazione per dirmi che mons. Romero era stato trucidato sull’altare mentre celebrava la Messa. Naturalmente mi si spezzò il cuore perché era per me, per tanti altri Sacerdoti e Comunità ecclesiali di base, il referente e l’autorità morale che ci permetteva un certo tipo di testimonianza pastorale più incisiva e credibile. Poi partecipai ai gruppi “Oscar Romero” che si sono formati nella Chiesa non solo latina americana nei quali partecipano sacerdoti, religiosi, seminaristi e laici che si ritrovano attorno alla sua figura e alla sua spiritualità di liberazione che faceva capo a lui e a don Pedro Casaldàliga”.

Hai mai rischiato di morire durante la tua attività di missionario?

“Rischiato non lo so fino a che punto, ma panico ne ho provato questo si. Quanto ho rischiato questo lo potranno dire quelli che hanno ammazzato il mio compagno di missione, P. Sandro Dordi, sacerdote fidei donum bergamasco chiamato da me per condividere la mia stessa esperienza. Il 5 dicembre si celebra la sua beatificazione insieme a quella di mons. Oscar Romero e ai due frati conventuali polacchi, perché furono ammazzati in odium fidei”.

Papa Francesco ci parla spesso di una “chiesa in uscita” ma oggi i laici come possono vivere al di là della semplice offerta per le missioni, l’esperienza missionaria?

“Non c’è una ricetta univoca. La missionarietà non comporta sempre una delocalizzazione. Abbiamo secondo me una “ricetta” importante, quella di Papa Francesco che nella Evangelii Gaudium ci dà i riferimenti per dare consistenza anche di pensiero alla nostra missionarietà. Non c’è un modo unico di essere missionari ed evangelizzare; c’è chi è portato ad andare nelle discoteche, tra i drogati, c’è chi è portato ad essere missionario in modo diverso. Io credo che ogni sacerdote, religioso o laico debba trovare nella sua sensibilità religiosa la forma migliore di “uscire” e come e dove farlo. Tante volte si tratta anche solo di uscire con i figli più spesso, per altri sarà di andare in Africa a testimoniare concretamente la presenza di Dio in quelle popolazioni”.

Veglia missionaria Maddalena 2015 (5)Cosa ti porti con te dagli anni di esperienza in missione?

“In modo particolare porto con me la gratitudine per essere stato convertito a una certa sensibilità religiosa più essenziale e “scheletrica”, con meno sovrastrutture. E anche l’essere stato convertito ad una vita buona che non dipende da compere compulsive, perché tante cose non le ho avute e ho avuto il piacere di non averle! Il piacere di non avere il telefono, la luce, la televisione. Questo l’ho dovuto apprendere a forza e poi ho visto che mi piaceva”.

Qual è la differenza tra la Chiesa aperta e missionaria che hai vissuto in Perù e la nostra Chiesa , spesso fin troppo rintanata nelle proprie posizioni di prestigio?

“Non dobbiamo piangerci addosso come Chiesa, e ci dobbiamo stimare nelle cose buone che facciamo e in quello che siamo da 2000 anni a questa parte senza ovviamente nascondere brutture o nefandezze. Però mai piangersi addosso. Abbiamo bisogno di conversione pastorale ma sappiamo su quale pavimento camminiamo. Su quei valori che hanno costituito il bene non solo delle nostre Parrocchie ma dell’Italia e che spesso è opacato dalla superficialità assurda degli strumenti di comunicazione o quant’altro noi dobbiamo fondare l’oggi della nostra storia. A partire da quel buono non sempre molto visibile, è possibile e praticabile una vera conversione pastorale”.

Avete avuto mons. Lagnese come ministrante, adesso lo ritrovate come Vescovo di Ischia…

“La sua famiglia era tra i pilastri della Comunità di cui ero Parroco, ma grazie a Dio quando cominciammo questo percorso non si è fermato più. Me ne sono andato io ed è arrivato lui, se n’è andato lui e gli è succeduto don Pasquale Violante. Dunque la continuità del percorso: si vede che c’è qualcosa di buono in quello che abbiamo seminato. Quello che vorrei lasciare come invito a voi invece è la sfida del “DUC IN ALTUM” che prendo dal suo motto episcopale. Voi fate parte di un arcipelago di isole e c’è il mare che vi unisce, non siete soli. Il mare è anche stato una grande via di evangelizzazione (vedi San Paolo). Giona non voleva andare a Ninive, noi ci vogliamo andare non perché siamo migliori ma perché ci spinge quel Gesù Cristo che Giona non ha conosciuto”.

Nelle foto: Don Carlo Busiello con don Carlo Iadicicco e alcuni momenti della veglia missionaria