Il Verbo si è fatto carne
Omelia per il 31 dicembre 2018 

Carissimi fratelli e sorelle,

e, soprattutto voi, carissimi presbiteri, ai quali in modo particolare intendo rivolgermi in questa omelia:

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,11-12).

Cuore del Prologo del vangelo di Giovanni, queste parole, proclamate già a Natale nella Messa del Giorno, ci vengono proposte nuovamente anche questa mattina in questa liturgia del settimo giorno dell’ottava e ultimo dell’anno civile.

Brevi espressioni per dare la notizia più straordinaria che ci sia, la più sorprendente, inconcepibile e inaudita, scandalosamente bella: Dio si è fatto uomo!

È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”: scrive Paolo nella Lettera a Tito (2, 11). Essa si è manifestata in Cristo Gesù, Salvatore nostro: “Egli – continua l’Apostolo – ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (2, 14). E aggiunge che quella grazia è segno della “bontà di Dio, salvatore nostro”, e del “suo amore per gli uomini”: infatti “egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna” (3, 4-7).

Sì, Dio ci ama veramente! E per noi ha desideri di vita e di bene, di amore e di pace. Per questo si è fatto come noi. E per questo ha lasciato il Cielo. Si è fatto debole, inerme, fragile, Bambino; tutto disposto a darsi e a perdere. Pronto a soffrire; fino a morire”: così vi ho scritto nel Messaggio di Natale di quest’anno.

Sì, Natale è questo: è la manifestazione dell’amore di Dio, un amore capace di trasformare la nostra vita da mortale in eterna; da umana in divina; da pagana, nel cuore e nella mente, in una vita santa nell’amore; un amore capace di rendere gli uomini non più soli e abbandonati ma amati, non più orfani ma figli, e figli di Dio realmente; e, tra loro, non più estranei o indifferenti, né divisi o nemici, ma amici, anzi fratelli, pronti ad accogliersi, uniti fino a darsi la vita scambievolmente.

Quest’amore, è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo”; “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Nessun peccato potrà mai oscurarla: “Il Natale – ha detto pochi giorni fa Papa Francesco parlando alla Curia romana in occasione del consueto scambio degli auguri natalizi – è la festa che ci riempie di gioia e ci dona la certezza che nessun peccato sarà mai più grande della misericordia di Dio, e nessun atto umano potrà mai impedire all’alba della luce divina di nascere e di rinascere nei cuori degli uomini… Il Natale ci dona ogni anno la certezza che la luce di Dio continuerà a brillare nonostante la nostra miseria umana”.

Vogliamo rendere grazie a Dio per questo amore, gratuito e fedele; vogliamo benedirlo e ringraziarlo perché nonostante i nostri peccati e le nostre infedeltà, nonostante i tradimenti e le infedeltà della nostra Chiesa, anche quest’anno il Suo amore non è venuto meno. L’Eucaristia che questa mattina insieme celebriamo sia per tutti noi espressione della nostra gratitudine per l’amore che Dio continua a mostrare a noi e alla nostra Chiesa.

Con tutta la Chiesa vogliamo ringraziare il Signore per il dono dell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate offertaci da Papa Francesco, per la grazia del Sinodo dei Vescovi sui giovani e per i tanti nuovi santi e beati proclamati in quest’anno: mi piace qui ricordare San Paolo VI, Sant’Oscar Romero, ma anche i santi napoletani Vincenzo Romano e Nunzio Surprizio: un papa, un vescovo, un prete e un laico, segni della giovinezza della Chiesa che ancora continua a generare santi, autentici discepoli di Cristo, capaci di conformarsi ogni giorno di più a Lui.

Come Chiesa ischitana vogliamo invece benedire il Signore per il dono del nuovo Consiglio Pastorale Diocesano costituito in quest’anno dopo il rinnovo degli Statuti e dei Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici, pure da pochi mesi insediati: segni tangibili della comunione ecclesiale e della dimensione sinodale che sempre più deve caratterizzare le nostre comunità cristiane.

Vogliamo però rendere grazie al Signore in modo particolare per il dono della Visita Pastorale che la nostra Chiesa sta vivendo: per buona parte del popolo di Dio – soprattutto per i piccoli e i puri di cuori – essa si sta caratterizzando come un segno vivo della stessa visita di Dio, un segno della prossimità del Signore Gesù e della Sua Chiesa. In particolare la riconosco per la mia persona un vero dono di grazia: nel pellegrinaggio che il Signore mi sta dando di compiere tra le 25 parrocchie della nostra diocesi – di esse tredici già visitate – quanti volti ho potuto incrociare, quanti incontri ho avuto la gioia di vivere, quante testimonianze ho potuto ascoltare; quante lacrime ho raccolto, e soprattutto quanti esempi belli ho ricevuto: esempi di gente semplice, che crede veramente, che ancora si fida della Chiesa, che silenziosamente compie gesti di carità, che sopporta le nostre intemperanze, e che soffre, spesso in silenzio e prega; prega per il Papa, il vescovo, i sacerdoti.

Il Signore mi sta dando grazia di condividere per un’intera settimana la vita dei nostri parroci, uno ad uno, e di conoscerli più da vicino nell’esercizio del loro ministero e di imparare da loro – soprattutto dai presbiteri anziani – la capacità di farsi dono per la gente.

La Visita Pastorale si sta rivelando inoltre un’occasione speciale per stringere legami di amicizia con tanti operatori pastorali che condividono con il vescovo e i presbiteri il sogno di un rinnovato annuncio del vangelo e la diaconia della carità: l’esempio di tanti tra loro mi edifica; il loro amore per la Chiesa e la loro capacità di spendersi per essa, dedicando alle comunità cristiane cuore, tempo ed energie, mi impressiona.

Ma mi commuove soprattutto l’esempio di tanti fratelli e sorelle laici che pur non avendo nella comunità incarichi particolari, offrono una dimostrazione di sincero amore al Signore e alla Chiesa: la loro fedeltà nella vita di preghiera e nella testimonianza del Vangelo, la forza che viene dalla fede nel vivere croci e malattie, l’impegno che pongono nel vivere il vangelo, in famiglia e sul posto di lavoro, sono per me motivo di consolazione e nello stesso tempo occasione di conversione; occasione per imparare dalla gente, per imparare a essere cristiano, prima discepolo e poi, solo dopo, pastore.

Sì, Signore, ti rendo grazie e ti benedico per il dono della Visita Pastorale e per il bene che essa sta realizzando nella nostra Chiesa: un bene forse poco visibile, ma – ne sono certo – vero e profondo; e, invito tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, a benedire il Signore con me, impegnandosi, per quanti già hanno avuto la grazia di viverla, a non sciupare i semi di bene da essa scaturiti e adoperandosi – per quanti la attendono – nel prepararsi bene ad essa.

Il IX Convegno Ecclesiale che celebreremo al termine della Visita Pastorale sia per tutta la nostra Diocesi occasione per un sereno discernimento sulle scelte pastorali che il Signore vorrà indicarci per il bene della Chiesa isclana.

A conclusione dell’Anno, mentre siamo qui radunati per rendere grazie a Dio per i doni ricevuti, desideriamo però anche fermarci e domandarci se e in che misura, in quest’anno che volge al termine, noi siamo stati testimoni dell’amore d Dio.

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

Fermiamoci, carissimi fratelli e sorelle e, soprattutto noi, vescovo, presbiteri e diaconi, dinanzi a queste parole del Vangelo or ora proclamato, e chiediamoci se siamo stati veri testimoni della luce. Abbiamo testimoniato in quest’anno il Signore e il Suo amore per noi? Del Battista è detto che venne come testimone… perché tutti credessero per mezzo di lui: la nostra vita, il nostro modo di parlare, e di operare è stato di aiuto alla fede dei nostri fratelli? C’è stata gente in quest’anno che ha creduto per mezzo di noi? Abbiamo aiutato con il nostro esempio in questo 2018 le persone che ci sono passate accanto, ad avvicinarsi al Signore? Al Signore e non a noi; al Signore e non alle nostre organizzazioni, alle nostre strutture, ai nostri programmi? Chi ha visto noi, ha visto un testimone del Signore, un uomo di fede, un credente, oppure soltanto un uomo dell’istituzione Chiesa?

Nel Messaggio per il Natale di quest’anno, meditando sulla Chiesa, chiamata, come gli angeli, a portare la bella notizia, mi chiedevo: “Riusciremo a fare come gli angeli? Quando diventeremo – come annuncia San Paolo – uomini celesti? Ed io, che ancora arranco, quando arriverò a fare come loro nella mia vita di ogni giorno? E ancora: la Chiesa riuscirà a imitare gli spiriti beati? Ad annunciare il Cielo e l’Amore veramente? Ce la farà ad essere meno ingombrante e più libera da condizionamenti? A preferire i cori agli assoli, per essere più luminosa e trasparente, essa stessa annuncio e profezia della Vita altra tra la gente?”.

Carissimi, è giunta l’ultima ora: così abbiamo ascoltato nella prima lettura. La presenza degli anticristi ci dice che questa è l’ultima ora. La loro presenza nella Chiesa, lungi dal farci cedere allo scoraggiamento, ci chiama invece a metterci dalla parte di Cristo e del Suo Regno. È questa sempre l’ultima ora perché è un’ora decisiva, un’ora per deciderci. Il Signore ci dona ancora un’ora per convertirci, per darci da fare, per metterci dalla Sua parte, per non scoraggiarci dinanzi alla presenza degli anticristi e, soprattutto, per non esserlo noi, anche se unti del Signore.

Meditando sul peccato di Davide Papa Francesco nel succitato Discorso alla Curia romana ci ammonisce ricordando che si può diventare nemici di Cristo incominciando da piccole cose: si parte dall’accidia, dall’abbassare la guardia, per arrivare alla lussuria, e poi a peccati sempre più gravi, fino a diventare persone corrotte, persone che come Davide incominciano col trascurare la relazione con Dio e pian piano passano a trasgredire i comandamenti divini per poi ferire la loro integrità morale senza neanche sentirsi in colpa.

Avviene così ciò che accadde a Davide: “L’unto – dice il Papa – continuava a esercitare la sua missione come se niente fosse. L’unica cosa che gli importava era salvaguardare la sua immagine e la sua apparenza”. E, citando la Gaudete et exsultate, aggiunge: «Perché coloro che non si accorgono di commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e corrompersi» (164). Da peccatori finiscono per diventare corrotti».

Il riferimento del papa era innanzitutto agli abusi compiuti dagli uomini della Chiesa che anche quest’anno sono emersi purtroppo numerosi:

Anche oggi ci sono «tanti “unti del Signore”, uomini consacrati, che abusano dei deboli, approfittando del proprio potere morale e di persuasione. Compiono abomini e continuano a esercitare il loro ministero come se niente fosse; non temono Dio o il suo giudizio, ma temono soltanto di essere scoperti e smascherati. Ministri che lacerano il corpo della Chiesa, causando scandali e screditando la missione salvifica della Chiesa e i sacrifici di tanti loro confratelli».

Ma il papa ha inteso riferirsi anche agli uomini di Chiesa che vivono nell’infedeltà e così “tradiscono la loro vocazione, il loro giuramento, la loro missione, la loro consacrazione a Dio e alla Chiesa”. Sono “coloro che si nascondono dietro buone intenzioni per pugnalare i loro fratelli e seminare zizzania, divisione e sconcerto; persone che trovano sempre giustificazioni, perfino logiche, perfino spirituali, per continuare a percorrere indisturbati la strada della perdizione.

“Sant’Agostino, parlando del buon grano e della zizzania, – ha aggiunto il Papa – afferma: «Credete forse, fratelli miei, che la zizzania non possa salire fino alle cattedre episcopali? Credete forse che essa sia solo nei ceti inferiori e non in quelli superiori? Volesse il cielo che noi non fossimo zizzania! […] Anche sulle cattedre episcopali c’è il frumento e c’è la zizzania; e tra le varie comunità di fedeli c’è il frumento e c’è la zizzania» (Sermo 73, 4: PL 38, 472).

Carissimi, facciamoci aiutare da Maria; da Colei che domani, nel primo giorno dell’anno nuovo, come sempre, invocheremo con il titolo più grande e sorprendente di Madre di Dio. Chiediamo a Lei di insegnarci come fare ad essere fedeli, a non venire meno, a non passare dalla parte del nemico. A Lei, che custodiva tutte quelle cose meditandole nel suo cuore, chiediamo la grazia di stare con il Signore, di rimanere sotto la croce, e di cercarlo sempre senza stancarci, la grazia della preghiera e dell’umiltà, la grazia della docilità e dell’obbedienza, la grazia dello stupore e dell’angoscia, la grazia delle lacrime e della pace, la grazia di capire che “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”. È il mio augurio per me e per voi per l’anno 2019 che sta per incominciare. Amen.