Relazione di presentazione degli Orientamenti CEI per la Catechesi e l’annuncio

Ischia, cinema Excelsior, martedì 18 novembre 2014

 A cura di mons. Valentino Bulgarelli

 “Il bello, se non trova interlocutori, se non è colto da uno sguardo, resta pura perdita. E’ fondamentale l’incontro tra una presenza che si offre alla vista e uno sguardo che accoglie. La bellezza è un avvenimento, un’epifania, un “apparire là” che ci stupisce e ci abbaglia. Non è mai statica ne’ interamente svelata: come una montagna per metà nascosta dalla nebbia, o un viso di donna dietro un ventaglio, ci seduce con il suo disvelarsi. Dirò di più: nell’esperienza della bellezza, la reciprocità degli sguardi ha grande importanza. Per esempio: quando ammiriamo l’altro, se questi ci ricambia lo sguardo, la bellezza ne è aumentata, elevata, e anche noi siamo trasfigurati. La bellezza è un incontro… l’ideogramma cinese che significa “sguardo” è formato da due distinti simboli, il primo dei quali è la cosiddetta “chiave del sacro, del divino”[1]

Bellezza, sguardo, incroci di sguardi…sono parole che danno respiro e producono freschezza. Sono parole che appartengono al fatto cristiano e che Papa Francesco ci riconsegna nell’esortazione apostolica. A ben vedere non ci sono indicazioni “pratiche”, ma c’è un cambio di mentalità che è maggiormente impegnativo da attuare.

Nella Chiesa a volte le risorse diventano problema: schemi, proposte e consuetudini impediscono il coraggio e la creatività necessaria per aprirsi a scenari inediti e inauditi, o per lo meno ne bloccano il discernimento.

TRE PROVOCAZIONI CULTURALI

1) La confusione tra finalità e strumenti.

Tra le più recenti diagnosi offerte sulle difficoltà dell’educazione di un certo interesse ci pare quella fornita da Giuseppe Acone che afferma: “… il punto dolente della questione che concerne i processi educativi, intesi in senso generalissimo, nella società dominata dalla tecnologia figlia di radicali processi di secolarizzazione di ogni trascendenza, e della frattura, più o meno esplicitamente riconosciuta, con tutta la tradizione umanistica occidentale. Esso sta nella lacerazione palese tra idea dell’educazione … e potenza della tecnica onnipervadente che tende a soppiantare non solo ogni relazione mezzi/fini, ma addirittura a costruire un mondo che non ha più che mezzi sostitutivi dei fini e funzioni sostitutive di ogni significato, valore e senso”.[2]

L’inversione tra mezzi e fini, o la continua riduzione di ogni fine alla strumentalità che diviene finalità essa stessa determina la crisi educativa, dove l’educazione che da una parte ha bisogno di verità, essere, valore e senso appare spiazzata da un mondo in cui l’istanza sommersa ed emersa di un nichilismo soft non ritiene di dovere più porre problemi e interrogativi connessi a verità, essere, valori e senso, dall’altra subisce la drammaticità di un passaggio d’epoca in cui l’apparato tecnologico tende a sostituire ogni dimensione valoriale e di senso, a divenire una sorta di nuova ontologia senza metafisica, la cui potenza tende ad assorbire ogni indice di trascendenza di cui l’educazione ha sempre bisogno.

2) La pesantezza del decidere

Osservava Walter Benjamin: “C’è nuovamente una generazione che vuole trovarsi al bivio, ma il bivio non sta da nessuna parte. Ogni gioventù dovette scegliere, ma gli oggetti della sua scelta erano ben definiti. La nuova gioventù sta di fronte al caos, dove scompaiono gli oggetti (sacri) della sua scelta. Nulla illumina il suo cammino: non c’è niente di puro o impuro, di santo o reietto, ma solo le parole scolastiche permesso o proibito. Per questo circondata dal caos delle cose e delle persone, nessuna delle quali è santa, nessuna reietta, la gioventù invoca la scelta”.[3]     

E’ proprio qui, nel deserto del reale, che la Chiesa oggi potrebbe fare la prima mossa. Potrebbe prendersi tempi, spazi, affetti attingendo al suo patrimonio insuperabile di umanità, di profezia, di speranza. Si tratta di rilanciare un nuovo umanesimo, perché è in questione il senso della vita. Vuole dire vedere, di nuovo, la storia dell’umano in azione, quella che anche Dio abita.

3) La crisi dei rapporti tra generazioni

Giovanni Cucci afferma che oggi «non sono più i figli a dover imparare dai genitori e a ricevere da loro norme e insegnamenti, ma al contrario sono i genitori che si conformano ai criteri e ai comportamenti dei figli, cercando in questo modo di ottenere la loro approvazione». [4]

Molte delle difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo sono riconducibili al fatto che le diverse generazioni vivono spesso in mondi separati ed estranei. Il dialogo richiede invece una significativa presenza reciproca e la disponibilità di tempo.

LA QUESTIONE DI EG: DIO, UOMO/DONNA E CHIESA

Il problema

La Rivelazione in ogni pagina della bibbia si misura con la storia. Un Dio che si rivela nel divenire del tempo, nelle storie di uomini e donne, nella costruzione di comunità di uomini e donne. La bibbia ci parla di un Dio che partecipa alla vita, illuminandola, trasformandola e orientandola in una direzione nuova, svelando le strutture di peccato che in essa si annidano. A grandi linee si potrebbe dire che oggi nella coscienza di molti è scomparsa l’idea della “incarnazione” del divino nell’umano. Se fino ad un ventennio fa il “pericolo” per la Chiesa era l’ateismo, oggi è piuttosto il relativismo che, in definitiva, è una variante dell’indifferentismo. Pochi negano ai nostri giorni che “Dio c’è” e molti sono, anzi, propensi ad ammetterlo; il problema è che questo Dio non ha incidenza nell’umano. “Dio c’è”, ma è relegato nei cieli; “esiste”, ma per se stesso. E’ in questione oggi non tanto l’esistenza quanto la presenza di Dio. Crisi dell’incarnazione significa allora fatica a riconoscere l’incidenza del divino nell’umano, ad ammettere che l’umano possa portare in sé il divino. Paradossalmente si fa dunque più fatica a credere nell’uomo che in Dio: è l’uomo, oggi, il nodo cruciale.

La conseguenza è la progressiva svalutazione dell’uomo, della sua essenza e dei suoi rapporti temporali e spaziali (società, mondo). La crisi antropologica sembra giunta al punto da riconoscere nell’uomo solo un elemento trascurabile del grande divenire dell’Universo. Un uomo così inteso non ha – evidentemente – dignità sufficiente per essere “capace” di portare in sé il divino. Se Dio è relegato nella sfera celeste – e di conseguenza l’uomo è appiattito su quella terrestre – è svuotata di valore ogni mediazione tra divino e umano: i due poli restano separati, non possono congiungersi più. La figura di Cristo, Mediatore tra Dio e gli uomini, e la vita della Chiesa, inviata per rendere presente Dio agli uomini, restano incomprensibili. Ogni “incarnazione” del divino nell’umano è in crisi: Dio è lontano e si stenta a vederlo presente in Gesù di Nazareth e in una Chiesa fatta di uomini e donne. Un Dio incarnato occupa necessariamente uno spazio ed un tempo, crea legami fra gli uomini (comunità) e con il mondo (corpo, materia). Un Dio incarnato, quindi, si raggiunge necessariamente attraverso una comunità ed un cammino che valorizza il corpo e la materialità.

Un Dio disincarnato si raggiunge invece per un cammino individuale e di progressivo distacco dal corpo verso la sfera dello spirito.

La crisi della Chiesa nella coscienza di molti sembra dunque un aspetto della più generale crisi dell’antropologia, in particolare nel fondamentale ambito del rapporto tra umano e divino.

La proposta cristiana: fiducia nell’umano

La sequenza delle quattro sezioni che compongono la prima parte del Catechismo della Chiesa Cattolica consegnano l’irrinunciabile dell’Evangelizzazione. La questione della Rivelazione ha il suo punto di partenza nella visione positiva dell’umano, cioè del suo essere capace di Dio.

Il Catechismo della Chiesa cattolica si apre con la convinzione che nell’uomo c’è un profondo desiderio di Dio, c’è una profonda nostalgia di Dio (CCC,n.27). Il desiderio più profondo dell’uomo è conoscere Dio, è vederlo, perché da Dio veniamo. L’uomo cioè, in quanto creato da Dio, può udire la sua voce di Dio, può udire la voce di Dio. Dio si fa conoscere, Dio si rivela all’uomo, Dio entra in comunicazione con l’uomo, con me, con ciascuno di noi, con gli uomini di ieri, di oggi e di domani. Dio dunque “parla” e parlando si comunica per quello che è: un Dio d’amore.[5]

Di fronte a questa realtà problematica, sta il messaggio positivo della fede cristiana che conduce i credenti a rispondere alla crisi antropologica in atto con la proposta di un umanesimo capace di dialogare col mondo, perché profondamente radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo – della sua origine creaturale e della sua destinazione finale – ricavata dal messaggio biblico e dalla tradizione ecclesiale.

Un dialogo che non può prescindere dai linguaggi contemporanei, compreso quello della tecnica, ma che non li rende assoluti, bensì li integra con quelli dell’arte, della bellezza e della liturgia, che è per eccellenza il linguaggio della fede. Perché questo dialogo col mondo sia possibile, dobbiamo affrontare insieme quella che gli Orientamenti pastorali Cei Educare alla vita buona del Vangelo, al n. 9, definiscono una vera e propria «emergenza educativa», «il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”».

IL FILO ROSSO DI EG

“Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Evangelii Gaudium, n. 164

«In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario». Evangelii Gaudium, n. 169

La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale.” Evangelii Gaudium, n. 33

TRE VERBI PER VIVERE L’EVANGELIZZAZIONE: USCIRE – PROPORRE – CUSTODIRE

  1. Uscire (EG 20-22)

         – Il primo che “esce” è Dio stesso…

         – Coinvolgersi e accorciare le distanze…

         – Accompagnare e vivere la sapienza dell’attesa..

  1. Proporre (EG 165-175)

         – esprimere l’amore salvifico di Dio

         – non imporre

         – gioia e vitalità

         – la via della bellezza, della narrazione e dei simboli

  1. Custodire

         – si custodisce una cosa di cui non si ha la proprietà

         – custodire le fragilità (EG 209-210)

         – Coscienza, affetti ed emozioni

Rilancio e sintesi

Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Evangelii Gaudium, 2

Sintesi

Colgo nell’EG un profondo invito alla Chiesa ad aiutare ad incrociare lo sguardo di Dio nella quotidianità. A riscoprire il suo essere mediatrice di questo incontro che gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi recepiscono.

Il cammino della Chiesa Italiana: tre grandi cambi di prospettiva di questo decennio

Il quadro culturale profondamente mutato ha messo in crisi da tempo il modello di comunicazione della fede proprio di una società di cristianità. Eppure possiamo dire che questo decennio ha consolidato e per certi avviato una nuova era pastorale e catechistica.

Non abbiamo ancora trovato le soluzioni pratiche, ma abbiamo messo a punto la direzione. Limitandoci alla Chiesa italiana possiamo indicare le tre direzioni (e conversioni) indicate dai Vescovi.

  1. a) La prospettiva missionaria della pastorale nella linea del primo annuncio.

Si può dire che questo sia, in termini di presa di coscienza ecclesiale, il risultato più consistente di questo decennio, che ha avuto il suo apice nel documento sul volto missionario delle parrocchie, nella nota sul primo annuncio, nella lettera ai cercatori di Dio e per ultimo nella lettera ai catechisti in per il quarantesimo del DB.

Quest’ultima riassume bene la questione: «Molti ritengono che la fede non sia necessaria per vivere bene. Perciò, prima di educare la fede, bisogna suscitarla: con il primo annuncio dobbiamo far ardere il cuore delle persone, confidando nella potenza del Vangelo, che chiama ogni uomo alla conversione e ne accompagna tutte le fasi della vita» (n. 10).

  1. b) La configurazione della catechesi secondo il modello di iniziazione cristiana in prospettiva catecumenale. Già autorevolmente richiamato dal Direttorio Catechistico Generale (che invita ad fare del catecumenato il paradigma della catechesi – ispirazione), questo invito ha trovato una proposta di attuazione nelle tre note sull’Iniziazione cristiana. La seconda, in particolare, ha ispirato di fatto molte delle sperimentazioni in atto in Italia di rinnovamento della prassi ordinaria di iniziazione cristiana dei ragazzi. La terza è la più utile per ripensare un processo di riscoperta della fede da parte degli adulti.
  2. c) La centratura dell’annuncio sugli snodi fondamentali dell’esistenza umana (le “soglie” della fede, secondo l’espressione dei Vescovi lombardi).

Il convegno di Verona, superando l’impostazione centrata sui tre compiti fondamentali dell’annuncio, della liturgia e della carità, ha invitato “a partire dalla persona e dalla sua esigenza di unità, piuttosto che da una articolazione interna della Chiesa, seppur fondata teologicamente”.

Questo dislocamento della proposta di fede dalla logica e organicità del contenuto alla logica e organicità dell’esistenza umana nei suoi snodi fondamentali, apre per la pastorale in prospettiva missionaria il tempo di una esigente e feconda riformulazione.

«Mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità».

Il piano pastorale Educare alla vita buona del Vangelo riprende i 5 ambiti di Verona e li indica come piste di evangelizzazione e di contributo educativo.

Sono questi tre cambiamenti di prospettiva (missionaria, iniziatica e secolare) che hanno sostanzialmente cambiato le nostre linee progettuali e devono costituire l’orizzonte nel quale collocare la riflessione e la pratica catechistica e pastorale delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi.

INCONTRIAMO GESÙ: I FILI DEL TESTO (5 VERBI)

  1. ABITARE

Il noi della comunità

Che custodisce e propone il tesoro della fede

L’oggi visto con speranza (rilettura dei destinatari: adulti Giovani ad e pread…, ma anche critiche all’agire della pastorale).

Processo dell’ EV = dialogo / PA / Cat

Pastorale troppo ad intra…

  1. PROPORRE

Rilancio del PA

Vita quotidiana e le soglie…

  1. INIZIARE, ACCOMPAGNARE E SOSTENERE

IC – relazione tra genitori e figli 0-6 anni, famiglia e comunità (n.61)

Vero problema è la mistagogia…

  1. TESTIMONIARE E NARRARE

il ruolo della narrazione

Scelti con discernimento e mandati dal vescovo

Discepoli e comunicatori (n.81)

Lavorare in equipe e figure di coordinamento

  1. DISCERNERE

Percorre tutto il testo: dai gruppi di discernimento n.44 fino alla scelta dei catechisti n.77

PUNTI DI UNA CERTA NOVITÀ DI PASTORALE CATECHISTICA

  • documento di sintesi che non annulla il DB ma si pone in continuità
  • il dinamismo traditio –redditio – receptio
  • Il progetto catechistico diocesano (n.30)
  • Il livello regionale n.89
  • La figura del padrino/madrina n.70
  • Il mandato del vescovo n.78
  • Il laboratorio dell’annuncio n.46
  • Cat car e lit ma in un orizzonte antropologico (soglie nn. 36-41)
  • Revisione dei catechismi (in cantiere) n.95
  • LA CENTRALITÀ della PdD
  • Il glossario… Che non è parte integrante ma strumento allegato per parlare la stessa lingua…

ALCUNI APPROFONDIMENTI

  1. Pensare un cambio di passo: il dinamismo della vita cristiana
  • Ricomprensione dell’atto di fede: Fare esodo dalla prospettiva di contrattazione della domanda e dell’offerta. La fede, non è la religione intesa quale forma e ambito dei “doveri” che l’uomo ha nei confronti di Dio, ma è una relazione qualitativamente differente che investe l’intera trama dell’esistenza e si incarna nella elaborazione culturale quale risposta alle profonde domande che nascono dalla riflessione-ricerca sul mistero dell’uomo e del suo destino.
  • Spostamento di baricentro: Non percorsi che abbiano come obiettivo ultimo la conoscenza-pratica della fede, ma percorsi in crescita di umanità che permettono di sperimentare la fede come risorsa di vera umanità. Non percorsi per incontrare Dio ma per camminare con Lui. Rivisitare le nostre proposte catechistiche nell’orizzonte del Dio che cammina con noi.
  • Accompagnare l’adulto a vivere l’adultità (utopia-disincanto-gratuità): lasciargli la responsabilità del suo apprendimento, fare riferimento alla sua esperienza, evocare i suoi bisogni ed accettare il desiderio di capire.
  • Rileggere lo sviluppo del ciclo di vita attraverso la categoria della sfida: Sfide continue, ricerca di abilità superiori per evitare gli accomodamenti. La presenza di sfide normative e sfide non normative[6]
  1. Opportunità di questa stagione: la domanda reale di vita

Per una rinnovata capacità attrattiva: abitare la fatica del prendersi cura della persona perché non si sottragga alle sfide della vita.

Paolo VI nell’ultima sessione pubblica del Vaticano II, il 7 dicembre 1965, affermava: “la Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’ uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del concilio”

Se la modernità, cioè il periodo che va dal ‘600 all’’800, da Cartesio a Nietzsche, aveva tentato di elaborare un sapere sicuro a partire dalle certezze della ragione, proponendo formidabili edifici metafisici e robuste narrazioni, ora la post-modernità mette tutto questo in crisi. Siamo qui contro ogni forma di dogmatismo ritenuto indebito e violento, soprattutto nel campo che regola i comportamenti.

Qui tutte le forme di differenze sono valorizzate. A fronte di questa condizione va infatti denunciata l’incapacità strutturale del post-moderno di dare risposte alle grandi domande esistenziali dell’uomo, quelle vere, quelle che continuamente si ripresentano nella esperienza di ognuno.

Si è risposto a questa critica semplicemente negando la possibilità stessa di tali domande[7], a cominciare dalla domanda su Dio.

Alcune buone pratiche per la catechesi (Educare alla vita buona del Vangelo, n.25):

– Esperienza religiosa e maturazione religiosa: diverse e non sempre sovrapponibili

– Dalla narrazione etica ad una narrazione simbolica: (bibbia e catechesi): fare esplodere la buona notizia fuori dai concetti…

– Valore dell’accompagnamento: camminare con…

– Valore della diversificazione: ricerca di luoghi per l’unità…

– Intergenerazionalità: “l’educazione e’strutturalmente legata ai rapporti tra le generazioni” (n.12).

Congedo

Benedetto XVI a Verona diceva: “…La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano…”[8]

Papa Francesco e i Vescovi italiani chiedono alla Chiesa di essere amica dell’umanità perché si lasci guardare da Dio che cammina con noi nella storia.

[1] François Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza, Bollati Boringhieri, Milano 2007, pag. 78

[2] Acone Giuseppe, La paideia introvabile, La Scuola, Brescia, 2004, p. 27.

[3] W. Benjamin, Metafisica della gioventù. Scritti 1910-1918, Einaudi, 1982.

[4] G. Cucci, «La scomparsa degli adulti», in La Civiltà Cattolica 163 (2012) II, 229.

[5] Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2

[6] L. Hendry – M. Kloep, Lo sviluppo nel ciclo di vita, Il Mulino Bologna,2003

[7] “La crisi delle risposte totalizzanti offerte finora dai vari racconti costruiti della ragione moderna ha prodotto la perdita del gusto di porsi domande. Il postmoderno è l’epoca che contesta non solo la legittimità delle risposte, ma anche e soprattutto la legittimità degli interrogativi, e si presenta perciò come un tempo di nichilismo teoretico e di conseguente disimpegno morale”, in MUCCI G., I cattolici nella temperie del relativismo, J. Book, Milano 2005, p. 221

[8] Benedetto XVI, Incontro con i partecipanti al IV convegno nazionale della chiesa italiana, Verona 19 ottobre 2006, in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/october/documents/hf_ben-xvi_spe_20061019_convegno-verona_it.html

Foto di Giovan Giuseppe Lubrano