Lettera del vescovo Pietro

alle Confraternite e ai loro Assistenti Ecclesiastici

 

Nella Chiesa al servizio del Vangelo

 

Carissimi fratelli e sorelle,

il Signore vi dia pace!

Sempre nella storia della Chiesa l’aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, e come nei tempi moderni confermano le molteplici forme aggregative, quali associazioni, gruppi, comunità, movimenti, che nascono e si diffondono (cfr. Christifideles Laici, 29).

Sia quelle di più antica costituzione sia le nuove forme di aggregazione, pur essendo spesso assai diverse tra loro, sono tutte «segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo che disse: “Dove sono due o tre riuniti in mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20)» (Apostolicam Actuositatem, 18).

Esse, inoltre, trovano «le linee di un’ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l’uomo e di rinnovamento per la società» (Christifideles Laici, 29).

In particolare le confraternite e tutte le altre realtà similari, fin dal medioevo, hanno rappresentato un importante esempio di associazionismo dei laici. Esse, lungo i secoli, aggregando gruppi di fedeli allo scopo di venire incontro – attraverso la mutua assistenza, opere di carità e di pietà – ad esigenze diversificate, hanno costituito per tanti associati, in diverse misure, un luogo di socializzazione, di scambio di idee e di acculturazione, ma anche, attraverso la partecipazione dei loro membri alla gestione di opere ed iniziative, notevole mezzo d’inserimento sociale. Fin dall’inizio esse si sono anche distinte per l’offerta di un concreto e puntuale impegno religioso, una prassi comunitaria cultuale, liturgica e di pietà popolare, e una partecipazione a benefici, indulgenze e suffragi.

Confraternite e organizzazioni similari, specie in passato, hanno perciò svolto un ruolo importantissimo, sia all’interno della vita della Chiesa che nella società civile. Ma anche oggi quelle realtà possono conservare pienamente il loro valore e la loro importanza se, dentro un contesto completamente mutato e, in particolare, totalmente secolarizzato, sono disposte a lasciarsi rinnovare per ricomprendere quale sia il loro posto e la loro funzione nella Chiesa e nel mondo.

Vale, infatti, anche per loro quanto il Concilio Vaticano II ha affermato per tutte le forme di apostolato laicale: «non sono fine a se stesse, ma devono servire a compiere la missione della Chiesa nei riguardi del mondo: la loro incidenza apostolica dipende dalla conformità con le finalità della Chiesa, nonché dalla testimonianza cristiana e dallo spirito evangelico dei singoli membri e di tutta l’associazione» (Apostolicam Actuositatem, 19).

Si tratta, innanzitutto, di rimettere al centro della vita delle confraternite, come ha sottolineato Papa Francesco parlando proprio a loro, tre parole: evangelicità, ecclesialità e missionarietà (cfr. Omelia, 5 maggio 2013). Esse sono tre dimensioni costitutive di ogni vita cristiana e, ancora di più, nella Chiesa, di ogni aggregazione ecclesiale.

Nella misura in cui tali dimensioni saranno recuperate, esse, di certo, potranno favorire una rinascita di quelle forme aggregative, rappresentando, soprattutto nell’attuale mondo secolarizzato, «per tanti un aiuto prezioso per una vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico» (Christifideles Laici, 29).

Detta rinascita chiama in gioco anche la nostra Chiesa isclana. Sono infatti presenti anche sulla nostra Isola diverse arciconfraternite, confraternite e pii sodalizi. Della loro presenza e del servizio reso alla Chiesa, soprattutto nei tempi passati, sono grato al Signore e per loro chiedo che ritornino ad essere veri cenacoli di fede, di speranza e di carità.

Con il contributo di ognuno, in primo luogo di tutti gli associati, auspico che le suddette aggregazioni ecclesiali, accogliendo il magistero di Papa Francesco – in special modo le sollecitazioni da lui offerteci nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium – e i suggerimenti indicati a livello diocesano, sappiano favorire anche al loro interno un’opera di vera conversione pastorale che, certamente, domanda una visione più cristiana anche nella gestione del patrimonio e, in particolare, reclama un’attenzione tutta speciale nei confronti dei poveri.

A tal proposito un ruolo particolarmente importante svolgono gli assistenti ecclesiastici. La loro opera, dentro quelle realtà ecclesiali, appare quanto mai preziosa. Essi, in ogni confraternita, rendono presente il vescovo che non può rinunciare al servizio della sua autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. A nome del vescovo ogni assistente ecclesiastico, più comunemente detto cappellano, ha il compito di accompagnare l’aggregazione, di seguirla con la sua presenza e, soprattutto, con la sua guida, di incoraggiarla in un cammino di crescita nella comunione e nella missione della Chiesa (cfr. Christifideles Laici, 29). Egli, inoltre, mentre s’impegna ad offrire la necessaria assistenza spirituale a tutti gli associati, deve pure vigilare perché sia assicurata da parte loro un’effettiva partecipazione alla vita della Chiesa e della confraternita.

La scelta già operata dai miei predecessori, che qui sento di confermare, di nominare cappellani delle confraternite i parroci delle comunità parrocchiali in cui quelle stesse sono presenti, mi sembra, per questo motivo, quanto mai opportuna e idonea, non solo al fine di evitare inutili contrapposizioni e dispersioni nella vita pastorale, ma anche per favorire, all’interno della stessa comunità, una comunione e una collaborazione sempre più necessarie oggi nella vita della Chiesa.

Un’attenzione tutta particolare va poi riservata a quanti, pur essendo membri delle nostre confraternite o desiderando di farne parte, risultano trovarsi in alcune situazioni dette “irregolari”. Mi riferisco, in particolare, a quelle persone che hanno contratto matrimonio solo civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono.

A questo proposito è quanto mai necessario qui richiamare l’insegnamento offertoci da Papa Francesco nella recente Esortazione Apostolica postsinodale Amoris Laetitia.

In essa il Santo Padre afferma che, nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del vincolo matrimoniale sia «contro la volontà di Dio», e benché sia convinta che sempre si debba proporre a tutti i fedeli la perfezione e invitarli a una risposta più piena, essa stessa, illuminata dallo sguardo di Cristo, consapevole della debolezza di molti tra loro, riconosce come suo dovere quello di «accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta» (291).

Ciò, nella concretezza, significa adoperarsi allo scopo di favorire nei fedeli «una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza» (293), ma anche impegnarsi per tentare continuamente un’opera di integrazione: bisogna «integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”» (297).

Ovviamente, una cosa è ostentare un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano o, addirittura, voler imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa (cfr. ivi) e altro è trovarsi dinanzi a una «persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa» (300).

Perciò, le comunità cristiane, «nei diversi modi possibili», pur «evitando ogni occasione di scandalo», devono attivare, quale «chiave del loro accompagnamento pastorale», la «logica dell’integrazione», perché quanti vivono situazioni dette “irregolari” «non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. […] Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo» (299).

Si tratta, perciò, di verificare in che modo favorire la loro partecipazione e considerare come essa possa «esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò – dice il Papa – discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (ivi).

Nella nostra Chiesa, stando al vigente Statuto per le Arciconfraternite, Confraternite, Pii Sodalizi (1995), una delle forme di esclusione attualmente praticate verso le persone che vivono situazioni dette “irregolari”, riguarda proprio la partecipazione alle associazioni dei fedeli sottoposte all’autorità ecclesiastica.

A partire da quanto dettoci dal Santo Padre, ritengo opportuno che in questo momento tale esclusione si debba considerare superata.

Perciò, con la presente Lettera, dopo attenta valutazione e ampio ascolto, in deroga al vigente Statuto, nonostante qualsiasi altra disposizione contraria, stabilisco che, in linea generale, si dia la facoltà, anche a persone che vivono situazioni cosiddette “irregolari”, di poter essere iscritte a pieno titolo alle suddette realtà aggregative con la possibilità di essere pure elette per lo svolgimento di compiti direttivi.

Naturalmente, per evitare confusione ed equivoci, sarà necessario valutare ogni singolo caso. Affido, perciò, ai cappellani delle rispettive confraternite il compito di esercitare il relativo discernimento e chiedo loro di assumere l’onere di ratificare la richiesta di nuove iscrizioni o di eventuali eletti a ruoli di governo in seno alla confraternita. Considero pure doveroso che la ratifica sia esercitata non soltanto per le situazioni cosiddette “irregolari” ma anche per tutti gli altri casi.

Ritengo pure necessario ribadire che si debbano considerare presupposti fondamentali, per svolgere qualsiasi ruolo di responsabilità all’interno di una aggregazione laicale, un’effettiva partecipazione alla vita della Chiesa e della confraternita e, insieme, nella consapevolezza che siamo tutti poveri e peccatori, un sincero desiderio di conversione e la volontà di progredire nel cammino della santità.

Per ciò che riguarda ogni altro aspetto della vita delle confraternite e delle altre realtà similari, in attesa della promulgazione di un nuovo statuto diocesano, ci si attenga alla normativa vigente.

Stabilisco inoltre che quanto qui indicato, per analogia, sia considerato valido anche per tutte le altre associazioni laicali della diocesi.

Chiedo che di questa mia Lettera siano portate a conoscenza le assemblee delle nostre confraternite attraverso un’apposita convocazione, e che ciò avvenga alla presenza dei rispettivi cappellani.

Nel consegnare a voi e ai presbiteri, vostri cappellani, queste mie indicazioni, affido ciascuno alla Vergine Maria, ai Santi titolari delle vostre Confraternite e ai Santi patroni della nostra Chiesa, Restituta e Giovan Giuseppe della Croce e, di cuore, su tutti invoco la benedizione del Signore.

Ischia, 1° novembre 2016

Solennità di tutti i Santi

                                                                                                                     + Pietro, vescovo