Nella Chiesa, sguardo di Cristo!

Discorso del vescovo Pietro per l’inizio del nuovo Anno Pastorale

Chiesa Cattedrale, 21 settembre 2015

Carissimi fratelli e sorelle,

è bello, in questo vespro della festa di San Matteo, raccoglierci insieme in preghiera come Chiesa di Ischia, per dare inizio al nuovo Anno Pastorale!

Sì, è bello! Ed è importante! Perché questa è un’occasione per pregare e, pregando, fare Chiesa!

Un occasione innanzitutto per pregare e pregare insieme!

Abbiamo bisogno di farlo! Soprattutto in un momento come questo, nel quale la nostra Chiesa di Ischia vive una stagione non facile della sua storia, il vescovo deve pregare di più; i sacerdoti, i consacrati, le consacrate devono pregare di più; nelle nostre parrocchie si deve pregare di più! Dobbiamo invocare di più l’aiuto di Maria, Madre della Chiesa e dei nostri santi patroni!

La preghiera ci aiuta a non cedere allo scoraggiamento e a ricordarci che il Signore è con noi, sempre! Quando gli attacchi si fanno forti, ancora più forte dev’essere la nostra preghiera… certi della Parola di Gesù che dice che c’è una specie di demòni (che) non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”. (Mc 9, 29).

Il dialogo con il Signore e l’affidamento a Lui ci aiuta a mettere tutto nelle Sue mani e a trovare in Lui la pace e la luce; e a ricordarci che la Chiesa è Sua! È Lui l’ha conquistata a prezzo del Suo Sangue! È che le porte degli inferi, nonostante gli attacchi dentro e fuori, non prevarranno mai contro si essa!

Sì, abbiamo bisogno di pregare di più! Anche per non perdere la gioia!

La gioia del Vangelo…! Diceva il papa ai vescovi italiani nel maggio scorso: in questo momento storico ove spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti, da situazioni locali e internazionali che ci fanno sperimentare afflizione e tribolazione – in questo quadro realisticamente poco confortante – la nostra vocazione cristiana ed episcopale, è quella di andare contro corrente: ossia di essere testimoni gioiosi del Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri.

”La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6, 12).

Perciò con le parole di Paolo gli Efesini anche io questa sera, pensando alla nostra situazione locale, mi rivolgo a voi e dico:

”Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare” (Ef 6, 13-20).

Sì, in modo particolare, pregate molto per me, perché davvero possa annunciare il vangelo con quel coraggio con il quale devo parlare! (cf. Ef 6, 20).

Ma l’incontro di questa sera è importante anche perché ci da l’opportunità di incontrarci, riprendere coscienza che siamo un popolo, il popolo di Dio che cammina; sì, in cammino, ma non da soli: il popolo con cui Dio cammina! Di fare cioè un “esercizio di Chiesa”: la tentazione di rinchiuderci nel nostro guscio, di ritirarci nel nostro egoismo è sempre forte e il pericolo di farci prendere dalla sindrome della chiesetta piccoletta, come dice Papa Francesco, è sempre incombente: il mio gruppetto, la mia parrocchietta, la mia associazione, la mia confraternita o, peggio ancora, la mia sacrestia…

Gli esercizi di Chiesa invece ci fanno bene perché ci fanno sentire che Gesù, il Signore, è in mezzo a noi e che noi siamo le sue membra, la Sua Chiesa!

Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione” (Ef 4, 4): cosi, attraverso l’apostolo Paolo, ci ha detto il Signore questa sera!

Questo è ciò che siamo! Questo e ciò che dobbiamo diventare!

Nei giorni scorsi, parlando ai membri del nuovo Consiglio Pastorale, dicevo: “Cosa deve fare il Consiglio Pastorale Diocesano? (…) Deve innanzitutto fare Chiesa! In esso si deve respirare la Chiesa! Siamo qui innanzitutto per fare esperienza di Chiesa! Per gustare la bellezza di essere Popolo di Dio, che pure nella diversità di vocazioni e di carismi, ma anche di modi di essere e di pensare – diversità che sono ricchezza e mai ostacolo – sperimenta la presenza del Signore Gesù che lo chiama all’unità e alla missione!”.

È questo ciò che vogliamo fare anche questa sera! Ed è ciò che abbiamo cercato di fare, nonostante tutto, anche in quest’anno che è passato, attraverso il Convegno sulla Chiesa in uscita e l’esperienza delle Assemblee Diocesane in preparazione al prossimo Sinodo sulla famiglia.

A conclusione del Convegno dell’ottobre scorso affermavo: “sento innanzitutto il dovere di ringraziare il Signore per l’esperienza di Chiesa che abbiamo vissuto e per questa ventata d’aria fresca che abbiamo respirato. Ci fa bene aprire le porte! Ci fa bene andare fuori; ci fa bene incontrarci e, soprattutto, come Chiesa tutta, metterci in ascolto del Signore”.

Così è stato anche per le Assemblee Diocesane in preparazione al Sinodo.

Nella Lettera-Invito scrivevo a tutti voi: Il lavoro chiestoci dal Santo Padre domanda a tutti noi di adottare uno stile fortemente sinodale; si tratta, per la nostra Chiesa, di una vera e propria opportunità da cogliere come occasione di grazia per allenarci in quell’esercizio di comunione, tanto fecondo, indicatoci dall’VIII Convegno diocesano e da me espresso nelle «dieci parole» consegnate alla sua conclusione”.

Le Assemblee si sono di fatto rivelate un’occasione per incominciare ad allenarci nella realizzazione di quella “scuola di vita cristiana” di cui vi dissi alla fine del Convegno: una scuola nella quale sentirsi tutti protagonisti – giovani e adulti, semplici fedeli e “operai specializzati” – per formarsi come popolo di Dio alla sequela di Gesù e diventare popolo di “discepoli-missionari” (cf. EG, 120).

Ora bisogna continuare in quella direzione: anche quest’anno ci educheremo ad essere Chiesa, facendo Chiesa! Vivendo la “mistica dell’incontro”, diventeremo “esperti di comunione”.

Gli uffici diocesani e gli organismi di partecipazione ecclesiale, in primo luogo il Consiglio Pastorale Diocesano e i Consigli Pastorali Parrocchiali, devono lavorare innanzitutto in questa direzione.

Questa mistica è fortemente evangelizzante! Le parole del papa ai consacrati valgono anche per noi: In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni” (Lettera Apostolica a tutti i Consacrati, I. 2).

“A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4, 11-13). 

Questa sera qui, nonostante le nostra povertà e miserie, nonostante i nostri peccati, noi siamo qui la Chiesa di Cristo, presente in tutte le sue realtà: vescovo, presbiteri, diaconi, religiose, religiosi e laici! Siamo la Chiesa di Cristo, costruita sul fondamento degli Apostoli, di cui sono successori i vescovi. Lo ribadivo nei giorni scorsi anche ai nostri sacerdoti: non può esistere una Chiesa senza o contro il Vescovo; c’è una sola Chiesa diocesana: quella dove c’è il vescovo, successore degli Apostoli. Chi nega, anche solo nei fatti questo principio, non sta nella Chiesa! Sta lavorando per qualcun altro! Di certo non per la Chiesa!

Invece “che grande dono essere Chiesa, – dice Papa Francesco – far parte del Popolo di Dio! Tutti siamo il Popolo di Dio. Nell’armonia, nella comunione delle diversità, che è opera dello Spirito Santo…” (Ad Assisi, 4 ottobre 2013), di cui è custode il vescovo.

Ciò che stasera desidero presentarvi non è un piano pastorale, né una serie di prescrizioni alle quali attenerci ma, semplicemente, alcuni orientamenti, punti di riferimento che possano tornare utili per il cammino della nostra Chiesa e delle nostre realtà ecclesiali, prime fra tutte le parrocchie: possibili indicazioni di marcia per l’Anno Pastorale che oggi inauguriamo. L’obiettivo di fondo rimane l’invito del papa ad essere una Chiesa in uscita o, se preferite, come vi dicevo lo scorso anno, a conclusione del Convegno diocesano, una Chiesa estatica.

Lo facciamo insieme lasciandoci illuminare dalla Parola che abbiamo ascoltato!

In particolare, a partire dal vangelo ora proclamato (Mt 9, 9-13; cf. anche Mc 2, 13-17; Lc 5, 27-32), vorrei offrirvi una lettura ecclesiale del testo, quasi una lectio pastoralis.

  1. Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9).

 

Andando via di là: Gesù è a Cafarnao, dove da poco ha guarito un paralitico, presumibilmente nella casa di Pietro, e ora si mette per via, in cammino; esce da una situazione per entrare in un’altra! La strada è uno dei luoghi preferiti da Gesù! Gesù è un uomo in uscita!

Lui che è uscito dal seno del Padre ed è venuto in mezzo a noi, sente, come sua dimensione costitutiva, quella di uscire, andare, incontrare. Come Gesù così la Chiesa deve vivere in stato di uscita.

La Chiesa come Gesù è chiamata a mettersi per via e andare. Certe cose si possono vedere solo se ci si mette in via, solo se si esce, solo se si è disposti a mettersi in cammino, solo se ci si interessa agli altri. Più ci si mette in atteggiamento di uscita, più si allargano gli sguardi, più ci si lascia interpellare dai bisogni reali dell’uomo… più si è capaci di letture attente e non superficiali, qualunquistiche, egoistiche. Al contrario più ci si chiude più non si vede: come il ricco epulone, che non è avaro ma semplicemente non vede; sì, non vede più!

Dice papa Francesco: “La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. (…) La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cf. 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. (…) Come conseguenza, la Chiesa sa ‘coinvolgersi’» (EG, 24).

E ai consacrati: Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali. (…) C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino… Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando” (Lettera Apostolica a tutti i Consacrati, II. 4).

La Traccia preparatoria per il Convegno di Firenze 2015 indica alcuni ambienti privilegiati verso i quali dobbiamo imparare ad uscire in questo nostro tempo: “la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete”. Come Chiesa di Ischia in uscita, già l’anno scorso abbiamo individuato nell’ambito della famiglia, dei giovani e dei poveri le nostre vie privilegiate per l’annuncio del vangelo! Riteniamo questi ambiti, prioritari per noi! Su di essi, ad ogni livello, vogliamo impegnarci a praticare il discernimento comunitario, per scoprire come possano diventare concretamente vie per un rinnovato annuncio del Vangelo.

Intanto vorrei che ci chiedessimo: stiamo vivendo la nostra fede secondo una dinamica di uscita? Stiamo ascoltando la chiamata ad “andare altrove” che viene da Gesù, per far vivere in spazi sempre nuovi la forza del Vangelo? In che misura abbiamo cercato di attuare nelle nostre realtà ecclesiali quanto emerso dall’VIII Convegno diocesano sulla Chiesa in uscita? L’immagine di una Chiesa estatica, con le dieci parole da me consegnate a conclusione del convegno, ha trovato accoglienza nelle nostre parrocchie? Abbiamo incominciato ad attuare la conversione pastorale chiestaci da Papa Francesco?

  1. “Andando via di là,

Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte,

e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9).

Intanto mi colpisce questa immagine di Matteo seduto al banco delle imposte e Gesù, viceversa, in piedi! Mi fa pensare alla signoria di Cristo, alla sua grandezza, alla sua regalità! Cristo in piedi e Matteo seduto; così come con Zaccheo, con la peccatrice, come con Pilato.

Quando si sta per strada, cosa succede? Succede che s’incomincia a vedere! E si scopre che c’è qualcosa di più interessante che guardarsi l’ombelico… che il narcisismo non va bene e non ci fa bene! E si comincia a vedere per davvero: e – come dice il papa – non come turisti, non come sociologi o come fotoreporter. Quando ciò accade iniziamo a vedere più in profondità e non in superficie… più in positivo… più con simpatia ed empatia e non dall’alto in basso! Come fa Gesù: Sì, perché Gesù vede con il cuore! Non si vede bene se non con il cuore..”»: leggiamo ne Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry!

Passando dinanzi al banco delle imposte vide “un uomo”: semplicemente – potremmo dire anche straordinariamente – un uomo! Matteo non dice che Gesù vide un peccatore, un idolatra, un omicida, un corrotto, un adultero ma, semplicemente, un uomo!

“O signore…

che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato”
(Sal 8, 4-6).

Gesù vide l’uomo, vide cioè la realtà profonda di quella persona, vide dentro e perciò oltre! Vide dentro e oltre e perciò vide di più! Ecco l’Uomo.

Gesù vide in Matteo ciò che quell’uomo veramente era nel progetto di Dio! Vide la sua vocazione e perciò già intravide ciò che sarebbe potuto diventare e ciò che sarebbe diventato!

Vide ciò che Dio vedeva, ciò che Dio sognava, ciò che Dio pensava!

C’è uno sguardo di Dio anche su di me, su di te, su di noi, sulla nostra Chiesa di Ischia: Dio la ama e la sogna! Gli uomini e le donne, di oggi e di sempre, di ciò hanno bisogno, di cogliere questo sguardo e di rimanere sotto sguardo.

La Chiesa è chiamata a far capire agli uomini che essi sono guardati da Dio: sta qui tutta la nostra missione! C’è uno sguardo d’amore, uno sguardo amorevole – ci ricorda la Traccia per il Convegno di Firenze!

E questo sguardo è una vera benedizione: ”Il Signore parlò a Mosè e disse: Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: «Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace»” (Ne 6, 22-27).

Dice papa Francesco: la Chiesa è chiamata ogni giorno a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato, in modo da continuare a far sentire su tutti lo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù” (Udienza Generale, 29 ottobre 2014).

“Gesù – dice San Beda il Venerabile – vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore” (Om. 21; CCL 122, 149-151). Annota Papa Francesco nella Misericordiae Vultus: “Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici” (8).

Questo sguardo di Gesù deve essere, però, anche lo sguardo della Chiesa!

Anzi la Chiesa è lo sguardo di Gesù! Lo sguardo di Gesù che vede l’uomo!

È interessante ricordare qui la data scelta dal santo padre per l’apertura dell’Anno Santo della Misericordia. Esso si aprirà a Roma l’8 dicembre. È una data fortemente evocativa, non solo perché in Maria, Santa ed Immacolata, contempliamo l’iniziativa di Dio che non si arrende dinanzi al peccato dell’uomo ma decide di salvare l’uomo, mandando il Suo Figlio che prenderà la carne da Lei (cf. MV, 3), ma anche perché quel giorno ricorrerà anche il 50 anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II.

“Ho scelto la data dell’8 dicembre – afferma il papa – perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. (…) Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre» (MV, 4).

Il Concilio segnò infatti per la Chiesa la consapevolezza che un nuovo sguardo essa doveva assumere verso il mondo!

Ricordiamo qui le parole della Gaudet Mater Ecclesia, la mirabile allocuzione che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio: “Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore (…) La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati” (11 ottobre 1962).

Sullo stesso orizzonte, – ci dice papa Francesco – si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: “Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità (…) L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio (…) Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo”. E aggiungeva: “Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità” (Allocuzione nell’ultima sessione pubblica, 7.12.1965).

Ed è un orizzonte che continua: nonostante tutto! Nonostante i numerosi tentativi, in questi 50 anni, di anestetizzare l’evento conciliare, di depotenziarlo, lavorando per annullarne la carica di novità! Anche oggi c’è chi lavora per normalizzarne la memoria e depotenziarne la portata! Nonostante il magistero di tutti i papi abbia sempre indicato il Concilio come la grande grazia alla Chiesa del XX secolo: “Quanta ricchezza, carissimi Fratelli e Sorelle, – sono parole di Giovanni Paolo II – negli orientamenti che il Concilio Vaticano II ci ha dato! (…) A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” (NMI, 57).

E Benedetto XVI: “I documenti del Concilio Vaticano II, a cui bisogna ritornare, (…) sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta”. (Udienza Generale, 10 ottobre 1962).

Papa Francesco più che parlare del Concilio ci mostra tutta la carica rivoluzionaria e la portata profetica del Vaticano II con parole efficaci e gesti concreti che vanno dritti al cuore del Popolo.

Se Giovanni XXIII fu il papa che indisse il Vaticano II, Paolo VI colui che lo portò avanti, Giovanni Paolo II colui che lo fece conoscere, il suo grande catechista, e papa Benedetto colui che lo presentò non come strappo nella Chiesa ma come frutto coerente di un rinnovamento voluto e preparato dallo Spirito, papa Francesco è il papa che il Concilio lo fa: lo vive! Senza neppure parlare tanto spesso del Concilio, ce lo fa vedere e lo realizza!

III. “Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9).

Di questo sguardo di Cristo ha bisogno continuamente la Chiesa stessa!

Anzi, la Chiesa viene da questo sguardo! Vive di questo sguardo e senza di esso muore!

Senza questo sguardo di Gesù siamo, perciò, tutti poveri!

Perciò Gesù dice anche a noi, questa sera, all’inizio di un nuovo anno pastorale: “Seguimi”! Seguimi vescovo Pietro, seguitemi presbiteri, seguitemi consacrati, seguitemi Popolo di Dio tutto!

“Ed egli si alzò e lo seguì”: “La stringatezza della frase – commenta papa Benedetto XVI – mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. (…) In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù” (Udienza Generale, 30 agosto 2006).

Quell’uomo – Matteo – che Gesù indica, espresso artisticamente in maniera così incisiva nella bellissima tela del Caravaggio, siamo tutti noi!

Anche noi che siamo dentro la Chiesa, non siamo migliori degli altri! E tante volte lo si vede; troppe volte appare con chiarezza!

Lo si vede pure in noi pastori: vescovi, presbiteri, chiamati a dare l’esempio! Ogni volta che ci allontaniamo da quello sguardo diventiamo persone opache, mediocri, che non dicono niente o, peggio, a volte si rendono purtroppo protagonisti di parole e di gesti che non si addicono né ad un pastore, né a un cristiano, ma neppure a persone umanamente mature e responsabili.

Quanta pazienza ha il popolo di Dio con noi pastori! Quanta pazienza ha il popolo di Ischia con noi! Quando invece la Chiesa ritorna al Signore, si pone di nuovo alla Sua sequela, sotto quello sguardo, essa ritorna ad essere di nuovo ciò che è: sacramento di Cristo, vera Sposa del Signore che lo segue, anzi cammina con lo Sposo! Dove è Lui è lei; dove è lei è Lui!

Ritorna cioè ad essere luminosa presenza del Signore! E il mysterium Lunae, tanto caro ai Padri sia d’Oriente che d’Occidente e riproposto ultimamente da papa Francesco nel suo viaggio in Ecuador, prendendo spunto dalla montagna del Chimborazo, chiamato il luogo “più vicino al sole”, perché la sua cima, rappresenta il punto della crosta terrestre più distante dal centro della terra: “Noi cristiani paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna con la Chiesa, la comunità; nessuno, eccetto Gesù, brilla di luce propria”. E ha aggiunto: la luna “non ha luce propria, e se la luna si nasconde dal sole diventa scura. Il sole è Gesù Cristo, e se la Chiesa si separa o si nasconde da Gesù Cristo diventa oscura e non dà testimonianza”.

Sì, “fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine”, scriveva già Sant’Ambrogio. Come la luna, la Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo.

Perciò il papa c’invita a non allontanarci dal Signore; anzi a ritornare a Lui!

Il Giubileo della Misericordia, che avrà inizio nella nostra diocesi con l’apertura della Porta santa sabato 12 dicembre, è una grande occasione per farlo! Chiesa Giubilare sarà la Chiesa Cattedrale.

Essa, quest’anno, dovrà diventare un vero santuario diocesano, un santuario della misericordia, dove sperimentare il dono dell’abbraccio del Padre e la grazia dell’indulgenza plenaria.

Alla Chiesa Cattedrale volgeranno le 25 parrocchie della diocesi! Ogni parrocchia programmerà il proprio pellegrinaggio verso la Cattedrale, dove celebrare con il vescovo la Misericordia di Dio!

“Per essere capaci di misericordia, – dice il papa – dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. (Solo) In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita” (MV, 13).

Sollecitati dal papa, mediteremo in particolare sulle opere di misericordi a corporale e spirituale. Il papa c’invita inoltre a riscoprire il valore dell’adorazione e a rimettere di nuovo al centro, con convinzione, il sacramento della Riconciliazione, per permettere a tanti di toccare con mano la grandezza della misericordia. Invito pertanto i nostri sacerdoti e i religiosi a riscoprire e a far riscoprire l’importanza di questo Sacramento dedicando più tempo all’ascolto delle confessioni, stabilendo orari e luoghi precisi e rendendosi disponibili a prendere parte alle varie celebrazioni penitenziali, a partire dalla Chiesa Cattedrale.

L’Anno Santo dovrà anche essere un’occasione per invitare ad uscire dallo stato di peccato quanti appartengono a gruppi criminali o vivono una situazione di corruzione.

Essa, dice il papa, è un accanimento nel peccato (…) un’opera delle tenebre. (…) Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza. A quanti, perciò, vivono in questa situazione, bisogna annunciare che – come dice il papa – “Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita” (MV, 19).

Se la Chiesa non fa questo, non solo non sta dalla parte delle vittime, degli innocenti, ma neppure aiuta chi è caduto nella corruzione.

Per questo a nessuno è consentito alcuna forma di omertà, di silenzio o di copertura nei confronti di qualunque forma di ingiustizia, ben consapevoli che tali atteggiamenti sarebbero da ritenersi forme concrete di connivenza che ci renderebbero complici di chi compie il male, lo continua a compiere e, non riconoscendo le proprie colpe, non sembra disposto a dare alcun segnale di pentimento e conversione. Qualora poi quelle forme di ingiustizia venissero perpetuate a danno dei piccoli, di chi non sa difendersi e, per un motivo o per un altro, vive una situazione di debolezza, quelle ingiustizie apparirebbero ancora più gravi e perciò, senza mezzi termini, da riprovare!

  1. ”Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli” (Mt 9, 10).

Gesù va con i suoi discepoli a casa… In quale casa? Quella di Matteo: è l’evangelista Marco a dircelo! E Luca ci dice anche di più: “Matteo gli preparò un grande banchetto nella sua casa” (Lc 5, 29). Notate: non un banchetto, ma un grande banchetto!

Come è bella questa scena descrittaci dai vangeli: Gesù entra in casa di Matteo! Matteo non ha paura di farlo entrare! Non si vergogna di Gesù: sa che Gesù lo ama e si sente perdonato da Lui! Anzi, ora desidera che anche i suoi compagni, i molti pubblicani e peccatori” che egli frequentava, incontrino Gesù: l’incontro con Gesù è sempre contagioso!

Matteo da subito incomincia ad evangelizzare: ad essere, cioè, strumento d’incontro con Gesù!

È la Missione della Chiesa: aiutare le persone ad incontrare Gesù! Dicevo nell’Omelia del Corpus Domini di quest’anno: Che bello! La Chiesa come mano che apre porte perché Gesù possa entrare! È questo ciò che Gesù ci domanda: Chiesa di Ischia, fammi entrare, là dove gli uomini e le donne soffrono, piangono, sperano, lottano, muoiono, fammi entrare! La Chiesa ha questa unica missione! Tutto il lavoro pastorale che si fa nelle parrocchie, attraverso i vari uffici, nelle varie realtà ecclesiali ha questo scopo: aiutare a far entrare Gesù! Indicare stanze, aiutare ad aprire porte… – e aggiungevo – Preghiamo di poter riuscire un po’ a fare questo nel prossimo Anno Santo della Misericordia!”.

L’immagine della Casa mi fa pensare alle nostre Eucarestie: sono accoglienti, favoriscono davvero un incontro con il Signore? Quanti vi prendono parte, anche sporadicamente, sono spinti a ritornare? Fanno un’esperienza di bellezza? Le nostre assemblee sono pervase dalla stessa ansia evangelizzatrice presente nel cuore di Matteo quel giorno?

Ma la casa non può non farci pensare innanzitutto in questo momento alle famiglie, alle tante famiglie dove Gesù vuole abitare, alle tante famiglie che forse ancora attendono da noi un annuncio dell’amore di Dio: penso a quelle in difficoltà, a quelle con problemi economici ma anche di relazione, penso a quelle visitate dal lutto, dalla malattia, dalla mancanza di lavoro, a quelle i cui figli vivono situazioni di dipendenza o nelle cui case ci sono situazioni di disabilità; penso alle giovani famiglie, da poco nate e, forse, già… finite!

Mentre preghiamo per il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, ci domandiamo: Quante case rifiorirebbero se Gesù vi potesse entrare! Quante famiglie che non hanno vino potrebbero sperimentare che Gesù ha il potere di salvarle ed impedire che la festa finisca, se ci impegnassimo di più ad aiutarle!

C’è dunque bisogno di rivedere i nostri percorsi di preparazione al Matrimonio: non possiamo essere superficiali, non possiamo essere leggeri: ne va del futuro non solo della Chiesa ma della stessa umanità! C’è bisogno anche di famiglie che si rendano disponibili all’accompagnamento dei giovani sposi e di un’attenzione ad ogni coppia da parte del parroco e della comunità parrocchiale.

Penso anche ai giovani… Sarebbe interessante domandare ai giovani il loro pensiero sulla Chiesa. Dico non ai giovani, pochi in verità, molto pochi, che frequentano le nostre comunità, ma a quelli che semmai hanno abbandonato la pratica sacramentale dopo la Prima Comunione, a quelli che sono ritornati per un attimo, solo un attimo per fare la Cresima e mettere le carte apposto: cosa pensano della Chiesa, cosa pensano del vescovo, dei preti, di quanti sono assidui frequentatori delle nostre assemblea? Cosa pensano di ciò che diciamo? Al di là dei pregiudizi che essi hanno, le loro opinioni dovremmo ascoltarle e lasciarci interpellare da loro… C’è bisogno che li ascoltiamo: abbiamo bisogno di cristiani, di preti che li ascoltino: prima ancora che li catechizziamo: c’è bisogno che li ascoltiamo, anzi che li accogliamo!

Vogliamo pertanto quest’anno promuovere una maggiore attenzione verso il mondo dei giovani. Vorremmo farlo a vari livelli: innanzitutto prendendoci maggiore cura di chi bussa ancora alla porta delle nostre chiese per chiedere i sacramenti!

In modo speciale ai giovani che chiedono la Cresima vorremmo offrire percorsi, semmai anche più esigenti, ma capaci di incidere nella loro vita; percorsi nei quali fare loro la proposta che il Signore fa a Matteo: Seguimi! Percorsi che dicano parole che arrivino al cuore e mettano la voglia di decidersi per Cristo. Perciò abbiamo avviato fin da questa estate un laboratorio pastorale che continuerà anche durante l’inverno e che coinvolgerà per ora i presbiteri per poi passare anche a quanti li collaborano nella catechesi ai giovani…

Carissimi, non veniamo meno all’annuncio del Vangelo!

Alla pastorale giovanile chiediamo di impegnarsi per favorire l’ascolto e l’accoglienza dei giovani lontani! A partire da quelli segnati dalle ferite della dipendenza dalla droghe, dall’alcool, dal gioco.

Gli ambienti offertici dal Comune di Ischia nei quali la diocesi allocherà tutto il comparto relativo alla solidarietà, prevedranno insieme ad un centro di ascolto per le dipendenze – di cui si prenderà cura la Comunità Giovanni XXIII, fondata dall’amatissimo don Oreste Benzi, di cui è iniziata la causa di canonizzazione – in ambienti per l’incontro e il dialogo con il mondo giovanile, ad incominciare dalle scuole con la quale riteniamo che si debba stabilire – dopo quella con le famiglie – una vera e propria alleanza educativa!

”Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”
(Mt 9, 11).

Come mai?

Il comportamento di Gesù provoca nei farisei una domanda: Come mai fai questo?

Una Chiesa che non sa far nascere domande, che non è capace di provocare, che non genera interrogativi, è una Chiesa che non ha molto da dire, una Chiesa che non annuncia il Vangelo.

I nostri gesti, le nostre parole, devono saper provocare domande: domande vere, quelle di senso. Come mai sei diverso da me? La gente dovrebbe dire ai cristiani: come mai sei cambiato? Come mai non reagisci? Come mai non ti scoraggi? Continui a combattere, come mai non scendi a compromessi? Come mai dedichi il tuo tempo? Ci rimetti di persona, come mai t’interessi dei poveri, degli ultimi? Come mai non hai smesso di sognare un mondo più pulito, più bello, più solidale?

Dice il papa a proposito del Giubileo della Misericordia: «In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. (…) Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo» (MV, 15).

Ascoltando queste parole, come non pensare alla tragedia planetaria dei nostri fratelli e sorelle immigrati che scappano dalle loro terre, le nostre mani stringano le loro mani. Tiriamoli a noi, affinché sentano il calore della nostra presenza, della nostra amicizia, della fraternità: il loro grido diventi il nostro e insieme spezziamo la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.

Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo all’inizio fatto riferimento alla nostra situazione ecclesiale! Ma anche la situazione locale non è molto confortante, sia a livello politico che sociale!

M’impressiona – e non poco – la grande sfiducia nelle istituzioni, la forte presenza di situazioni di dipendenza, di vecchie e nuove droghe, come la dipendenza dal gioco e dal sesso! Ma mi preoccupa anche l’aumento del disagio sociale, il fenomeno consistente del disagio psicologico in genere e, in particolare, il fenomeno della depressione, come pure il numero impressionante di decessi per suicidio: e tutto ciò mentre qui ad Ischia sembra che l’attenzione per queste problematiche, già non molto viva in passato, vada da parte delle istituzioni ancora più scemando: è di queste ore la chiusura della SIR da parte della nostra ASL!

Noi, però, mentre vogliamo porci come coscienza critica nei confronti delle istituzioni dell’Isola, del governo regionale e nazionale, sentiamo forte che dobbiamo fare la nostra parte.

Possiamo e dobbiamo fare di più: perciò abbiamo accolto la sfida di gestire, in proprio, come Caritas diocesana, il Centro Giovanni Paolo II, fino ad oggi animato dalla Comunità “Nuovi Orizzonti”.

Crediamo e riconosciamo che quell’opera voluta dal mio amato predecessore, padre Filippo Strofaldi, possa diventare non soltanto il segno di una Chiesa veramente in uscita ma anche lo strumento per far crescere nella nostra Chiesa e nell’Isola, la cultura della carità e della misericordia.

Anche per questo abbiamo raccolto la sfida di aprirci, a titolo del tutto gratuito, all’accoglienza dei migranti mettendo a disposizione un appartamento della diocesi in via L. Mazzella e gli ambienti offertici dai padri vincenziani nel palazzo Lavitrano a Forio.

Dei locali offertici dal Comune di Ischia ho già detto. Vogliamo inoltre promuovere il potenziamento del Consultorio diocesano e di tutte le altre attività di carità già presenti in diocesi.

”Udito questo, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9, 12-13).

Sono convinto che se, come Chiesa di Ischia, c’impegneremo di più nel testimoniare lo sguardo di Cristo, anche il nostro annuncio del Vangelo della Misericordia sarà più credibile! Annunceremo che Cristo è il Volto della Misericordia del Padre e che di quel Volto la nostra Chiesa vuole essere, in qualche modo, l’incarnazione! Le nostre parrocchie possono realizzarlo sempre di più, in qualche modo incarnando, dobbiamo però incominciare da noi! Adesso!

Perciò mi piace concludere questo mio messaggio con le parole del parroco di Bozzolo, don Primo Mazzolari:

“Ci impegniamo noi e non gli altri
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto né chi sta in basso,
né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo
senza pretendere che altri s’impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.

Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza disimpegnarci perché altri non s’impegna.
Ci impegniamo
perché non potremmo non impegnarci.
C’è qualcuno o qualche cosa in noi,
un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia,
più forte di noi stessi.

Ci impegniamo
per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni,
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Si vive una sola volta
e non vogliamo essere “giocati”.
in nome di nessun piccolo interesse.

Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro,
non ci interessa la donna o l’uomo
se presentati come sesso soltanto,
non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.

Ci interessa di perderci
per qualche cosa o per qualcuno
che rimarrà anche dopo che noi saremo passati
e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
Ci impegniamo
a portare un destino eterno nel tempo,
a sentirci responsabili di tutto e di tutti,
ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare,
verso l’amore.

Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare
anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all’amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore
c’è, insieme a una grande sete d’amore,
il volto e il cuore dell’amore.

Ci impegniamo
perché noi crediamo all’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente”. 

Con l’aiuto di Maria, così sia! Amen!