Omelia per il XXV di presbiterato di don Carlo Candido e don Pasquale Trani

Sorelle e fratelli carissimi,

un fraterno saluto a tutti voi ad iniziare dal confratello Vescovo di Sulmona Michele, che è venuto a concelebrare con noi, a tutti i presbiteri presenti e ai diaconi. Con voi, sorelle e fratelli laici, che cordialmente saluto, formiamo il “Corpo di Cristo”, che è la Chiesa. Vescovi, preti e diaconi siamo scelti dal Signore per essere suoi “ministri” e “amministratori dei misteri di Dio” – ci ha ricordato san Paolo (1Cor 4,1).

Siamo chiamati ad essere “servi[1].

L’icona della lavanda dei piedi deve essere sempre lo specchio della nostra vita, perché esprime lo stile di vita di Gesù e ci richiama ciò a cui dobbiamo dare il primato: il servizio. Il servire, a cui siamo chiamati, non è certo servilismo, ma è dare come il nostro Maestro il primato all’amore. Non c’è autentico amore senza “servizio”. Amare è servire e servire è regnare. È questa la logica del Vangelo; così ha regnato Gesù: sulla Croce ci ha mostrato l’amore e il servizio più grande. «Il Figlio dell’uomo – ha detto – non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

Il Servo per eccellenza è Gesù. Egli è Capo/Servo. Sceglie alcuni di noi e con il sacramento dell’Ordine ci rende partecipi del suo essere Capo/Servo. Tradiremmo la nostra vocazione, il nostro ministero, la nostra missione, se dimenticassimo che siamo “capi”, se siamo “servi”. Non dimentichiamo mai la lezione che Gesù diede ai Dodici, che discutevano tra loro “chi era il più grande”! «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,42-44).

Quando la tentazione del potere – quello più pericoloso, perché più subdolo, è quello spirituale! – si affaccia nella nostra vita, quando ci stiamo rendendo conto che non siamo servendo le persone, ma ci stiamo di esse servendo, quando non ci siamo fermati davanti al terreno sacro della coscienza dell’altro, facciamo risuonare dentro di noi le parole del Signore: “Tra voi non è così”! Anzi queste parole siano impresse nel nostro cuore e nella nostra mente e così metteremo fuori gioco un male che affligge spesso le nostre comunità: il clericalismo.

L’essere servi non solo non ci impedisce di essere amici di Gesù, ma è la via per esserlo non solo nominalmente, ma nei fatti. «Voi sarete miei amici, se farete ciò che io vi comando». Saremo suoi amici, se prenderemo sul serio il comandamento dell’amore reciproco.

Lasciamo risuonare dentro di noi, ancora una volta, le parole che Gesù ci ha detto nel Vangelo (Gv 15,9-17): «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. (…) Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo. Dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. (…) Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».

Gesù ci dice innanzitutto il suo amore immenso, ci ama da Dio: “come il Padre”!

Siamo consapevoli di questo amore eccedente? Gesù crocifisso ci manifesta l’amore di Dio, la cui misura è … dare la vita! Poteva amarci di più?

Egli, che ci dona questo amore, chiede anche a noi di amarci così: “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”.

Soprattutto per noi ministri queste parole devono riportarci alla nostra vocazione. Siamo chiamati ad essere “pastori” con e come il Buon Pastore, che dà la via per le pecore.

Siamo disposti a dare la vita per le persone che ci sono affidate? Il nucleo centrale della spiritualità del prete non è la “carità pastorale”, cioè amare fino ad essere pronto a donare la vita per gli altri?

L’amore che Gesù ci dona e ci chiede non è sentimentalismo, non è questione di parole: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore».

Gesù ha mostrato il suo amore per il Padre nella prontezza e fedeltà nel fare la sua volontà, nell’essere fedele al suo progetto su di Lui, anche quando umanamente il pensiero di ciò che stava per vivere gli ripugnava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42).

«Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).

C’è una volontà di Dio particolare che sta a cuore a Gesù e che ci ripete con forza: «Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».

Carissimi don Carlo e don Pasquale,

ieri è stato il vostro XXV di presbiterato. Siete stati ordinati qui l’8 agosto, la festa di san Domenico.

Come Prima Lettura sceglieste il brano della vocazione del profeta Geremia (1,4-12), che abbiamo riascoltato questa sera. Egli ci ricorda che la nostra vocazione e la nostra missione sono iscritte nella “mente” di Dio: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profesta delle nazioni”. Gesù specificherà: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.

25 anni fa anche voi come il profeta avete detto al Signore: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”. Il Signore vi ha dato fiducia: “Non dire: Sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti … Ecco ti metto le mie parole sulla bocca”.

Ora, con un po’ di anni in più sulle spalle, il Signore vi ridona la sua fiducia, rinnova in voi la grazia che vi è stata donata con l’imposizione delle mani. Egli è sempre fedele ed è ricco di misericordia. Non si ferma alle nostre fragilità, ai nostri fallimenti, ai nostri peccati, ci dona sempre nuove possibilità.

Siate sempre più ascoltatori della Parola di Dio e vivetela con intensità nel vostro quotidiano. Siate testimoni e annunciatori di Gesù Cristo e del suo Vangelo.

Celebrate sempre con fede rinnovata i santi misteri, in particolare l’Eucarestia e aiutate i fedeli laici ad entrare nella bellezza e nella ricchezza dei sacramenti.

La vostra vita sia “eucaristica”: un dono di amore per gli altri. Tutte le volte che ripetete le parole di Gesù: “Fate questo in memoria di me” rinnovate l’impegno a fare della vostra esistenza una pro-esistenza: pane spezzato e vino versato! Come avete scritto nel retro dell’immaginetta in ricordo di questo giorno: la vostra vita, soprattutto quando arriva l’ora del dolore, sia la vostra Messa unita alla Sua!

Siate costruttori di unità nel presbiterio, nelle vostre comunità, nel territorio con il cuore spalancato su tutti come il Cuore di Gesù, che ha chiesto al Padre: ut omnes unum sint. Padre, che siano una cosa sola, perché il mondo creda!

Maria Santissima sia vostra madre e modello: come Lei voi e le vostre comunità possiate donare agli uomini e alle donne del territorio, dove Dio vi ha chiamato a vivere e a servire (il primo servizio è l’evangelizzazione!), Gesù Cristo e il suo Vangelo.

Santa Teresa Benedetta della Croce, vergine e martire, patrona dell’Europa, di cui oggi celebriamo la festa, vi aiuti a camminare con sempre maggiore decisione sulla “via” alla sequela di Gesù, la via della croce. Ella così scriveva in un messaggio inviato alla Madre Priora del Carmelo di Echt da Westerbork: «Si può acquistare una scientia crucis (Scienza della croce era il titolo del suo ultimo scritto e anche il suo itinerario spirituale) solo se si comincia a soffrire veramente del peso della croce. Ne ho avuto l’intima convinzione fin dal primo istante e dal profondo del cuore ho detto: Ave crux, spes unica».

[1] ministro s. m. [dal lat. minister –stri «servitore, aiutante», der. di minor agg., minus avv. «minore, meno»] (Treccani).