Eccoci, carissimi fratelli e sorelle, all’VIII Convegno della Diocesi di Ischia.

Il mio benvenuto ad ognuno di voi e grazie a tutti voi per aver accolto l’invito a prendere parte a questo importante momento di Chiesa.

Siamo proprio tanti e questa partecipazione così massiccia è davvero un bel segno di speranza per la nostra Chiesa di Ischia!

La mia riconoscenza sincera a quanti si sono adoperati per la preparazione di questo evento e a quanti in questi giorni lavoreranno sodo perché tutto vada per il meglio ed ognuno di noi si possa sentire accolto, anzi si possa sentire a casa! In questo senso un particolare grazie va alle tante famiglie che con la loro presenza ci aiuteranno a vivere questa esperienza in una dimensione familiare.

Esprimo in modo speciale la mia più viva gratitudine ai relatori che hanno accolto l’invito ad essere tra noi per offrirci il loro contributo di vita e di pensiero: al prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, presente in mezzo a noi questa sera per farci dono delle sua testimonianza e della sua riflessione e ai miei confratelli nell’episcopato: S. E. Mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Ionio e Segretario Generale della CEI e S. E. Mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano.

Ringrazio pure quanti animeranno con la loro riflessione i quattro laboratori che dopo le relazioni assembleari caratterizzeranno i lavori del nostro Convegno.

Un convegno che è ecclesiale – ci piace ricordarlo – non solo perché della chiesa di Ischia e avente come tema la sua vita e la sua missione, ma perché esso stesso vuol essere per tutti noi che vi prendiamo parte una vera esperienza di Chiesa, anzi una bella esperienza di Chiesa, dalla quale ritornare rinnovati nel desiderio di essere, meglio e di più, ciò che dobbiamo essere: “se sarete quello che dovete essere – ricordiamo tutti la felice espressione di santa Caterina da Siena, tanto cara a San Giovanni Paolo II – incendierete il mondo!”.

Qui c’è tutta la Chiesa di Ischia che è radunata, quale popolo di Dio che è sull’Isola, chiamato a convenire; e, dentro questo popolo, ognuno secondo la sua specifica vocazione e il suo ruolo ministeriale: vescovo, presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, fedeli laici e, tra loro: famiglie, giovani, anziani, rappresentanti delle nostre comunità parrocchiali, operatori pastorali e membri di tante realtà associative, movimenti e comunità ecclesiali.

Un popolo, dunque: il popolo di Dio che è in Ischia, chiamato a convenire! Vorrei che tutti noi che siamo qui cogliessimo questa dimensione e avvertissimo che questa è una convocazione; una convocazione di Dio!

D’altronde, lo sappiamo bene, la parola “Chiesa” – “ekklesìa”, significa appunto “convocazione”, o più precisamente: “chiamare fuori”.

A questo convenire è perciò legata una grazia, ed è assicurata una presenza dello Spirito. Una presenza che in questi giorni in modo particolare vogliamo invocare, e che, lo sappiamo bene sta alla base di ogni vero rinnovamento che non si realizza – ci avverte Papa Francesco – quando “invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di ‘quello che si dovrebbe fare’ – il peccato del ‘si dovrebbe fare’ – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno” (EG 96). Non stiamo qui per questo: non siamo qui per coltivare la nostra immaginazione senza limiti e perdere il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele (Cfr. ibidem).

Vogliamo invece porci in atteggiamento di umile ascolto dello Spirito sapendo che anche per le nostre assemblee valgono le parole pronunciate dal Papa domenica 5 ottobre 2014 nell’omelia per la Messa di apertura del Sinodo; esse – ha detto Francesco – “non servono per discutere idee belle e originali, o per vedere chi è più intelligente… Servono per coltivare e custodire meglio la vigna del Signore, per cooperare al suo sogno, al suo progetto d’amore sul suo popolo”.

Ecco perché siamo qui: per cooperare al sogno di Dio sulla Sua Chiesa che è in Ischia!

Qual è il sogno di Dio sulla Sua Chiesa che è in Ischia?

Quale il progetto d’amore che Dio ha per il Suo popolo che è in Ischia?

È la domanda che sempre dovrebbe abitare nel cuore di tutti noi, e che in modo particolare vogliamo porci in questo VIII Convegno ecclesiale.

Lo faremo ponendo al centro della nostra riflessione l“Evangelii Gaudium” di Papa Francesco e il suo continuo e pressante invito a diventare sempre più una Chiesa in uscita.

Per questo vi ho invitato a partecipare con cuore disponibile a questo evento di grazia per il quale ho chiesto la preghiera di ciascuno. Sollecitati dall’Esortazione del vescovo di Roma, al quale ci sentiamo particolarmente uniti, in special modo in questi giorni del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, in comunione con le altre Chiese che sono in Italia e nel mondo, vogliamo porci in atteggiamento di “uscita” per “riprovare” ad annunciare il Vangelo. Nella Lettera Pastorale Con gioia ritorniamo a casa, vi ho scritto: “Uscire significa, essere aperti al nuovo, accettando di andare verso l’altro. Significa concretamente porsi in atteggiamento di umile accoglienza di quanti il Signore ci mette accanto imparando a riconoscerli come un dono. Significa accogliere l’Evangelii Gaudium di Papa Francesco sapendo che ciò richiede la capacità di mettersi in discussione come persone e come Chiesa ed essere disposti a cambiare strategie, modalità di azione o, forse, di più, il nostro cuore” (n. 30).

In questo momento mi ritorna nuovamente alla mente l’incontro avuto con il papa il 27 febbraio di quest’anno: in quell’occasione, nell’abbracciarlo gli ho detto: “Santità, grazie per l’Evangelii Gaudium!”. Rispondendo all’abbraccio, con l’entusiasmo e la passione che sempre lo caratterizzano, ha esclamato: “Si, ma adesso bisogna approfondirla e metterla in pratica!”.

Dunque: approfondire e mettere in pratica! “Queste parole – vi scrivevo nella Lettera Pastorale – le ho sentite come un vero e proprio mandato per me e per tutta la nostra Chiesa di Ischia!”.

Si tratta, come sappiamo, di una esortazione apostolica post – sinodale, pubblicata, come di consueto nella recente storia dei sinodi dei vescovi, a conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, celebrata dal 7 al 28 ottobre 2012.

Chi ha, però, tra le mani il testo, in realtà con estrema evidenza si rende subito conto, fin dalle prime battute, che, al di là del termine che lo identifica, esso intende offrirsi a tutta la Chiesa come un documento – così al n. 25 – dal “significato programmatico e dalle conseguenze importanti”; perciò al n. 33 il Papa afferma: “Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure”.

Più che un’esortazione esso è davvero il documento programmatico del pontificato di Papa Francesco: un vero è proprio “manifesto” così come qualcuno l’ha definito o, addirittura, secondo altri, il suo testamento!

Eppure dinanzi a questo testo potremmo porci – è questa sicuramente una tentazione! – con l’atteggiamento di chi si trova tutto sommato a leggere, quasi come dovere da compiere, un altro testo del magistero; un altro testo da leggere, punto e basta, per poi archiviarlo in fretta nelle nostre librerie.

Il papa ne è consapevole e, perciò, ci esorta: “Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione»” (25).

C’è poi un’altra tentazione, ancora più sottile, che potrebbe prenderci dopo la lettura del testo di Papa Francesco; ed è quella di ritenere la visione di Chiesa propostaci, affascinante, davvero bella, anzi troppo bella, ma, proprio per questo, non realizzabile. Il tono completamente diverso dell’esortazione di Francesco ha, infatti, provocato in tanti, uomini di Chiesa e laici, insieme ad alcune critiche, un forte entusiasmo, quasi esagerato; tanto da suscitare espressioni del tipo: “troppo bello per essere vero!” che, se accolte, potrebbero avere conseguenze certamente non positive.

Se dovessimo cedere a queste due tentazioni, potrebbe accadere di perdere l’ennesima occasione di mettere seriamente mano al rinnovamento della Chiesa, desiderato dal Vaticano II e rischieremmo di lasciare cadere nuovamente nel nulla parole che profumano di Vangelo.

È un pericolo che vorremmo scongiurare, ben consapevoli che questa è, invece, un’ora speciale per tutta la Chiesa e, ce lo auguriamo di cuore, anche per la nostra.

“La Chiesa, – vi ho scritto nel Messaggio d’Invito al Convegno – esiste, innanzitutto, per annunciare il Vangelo! Esso è il vero tesoro di cui il mondo ha bisogno. Condotti dal soffio dello Spirito e sostenuti dalla presenza del Signore che, nell’annuncio del Vangelo, sempre ci accompagna e ci precede, siamo chiamati a porci in stato di missione permanente”.

Vi chiedo, perciò, di partecipare con cuore disponibile ai lavori di queste giornate. Possa la nostra Chiesa, obbediente alla parola del suo Signore e fedele agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, lanciarsi sulle vie della missione e sperimentare una rinnovata pentecoste e diventare credibile testimone della gioia e dell’amore di Dio.

Maria, Stella della nuova evangelizzazione, e i nostri Santi patroni, Restituta e Giovan Giuseppe della Croce, intercedano per noi!

Buon convegno a tutti!