Omelia del vescovo Pietro

per l’inizio del nuovo Anno Pastorale

Chiesa Cattedrale, venerdì 20 settembre 2019

Per una Chiesa tutta al servizio del Vangelo!

Carissimi fratelli e sorelle, convenuti nella nostra Chiesa Cattedrale per la consueta celebrazione di inizio anno, innanzitutto un saluto a tutti voi ma in modo speciale il mio abbraccio di pace a tutte le donne della Chiesa di Ischia. Oggi – lo avete sentito – la Parola parla di voi, carissime sorelle, San Giovanni Paolo II di voi ha scritto delle cose bellissime nella Mulieris Dignitatemesaltando il genio femminile, e di voi parla continuamente Papa Francesco e non smette di ricordarci che voi siete l’immagine della Chiesa, perché la Chiesa è donna: la Chiesa è vergine, è sposa, è madre, e, figura eminentissima, la Chiesa è Maria, la madre del Signore… Un saluto allora a tutti voi: a tutte le mamme, a tutte le nonne della nostra Chiesa, a tutte le consacrate, a tutte le donne che crescono i figli, che si occupano dell’educazione delle giovani generazioni, a tutte le operatrici pastorali della nostra diocesi.

Il Vangelo che la Provvidenza ha voluto che venisse proclamato in questa Eucaristia è di tre versetti soltanto, ma è davvero molto bello: sicuramente un dono per me e per voi riuniti come Chiesa una, per invocare l’aiuto del Signore e domandare il Suo Spirito su tutti noi alla ripresa delle nostre attività pastorali! A prima vista il brano potrebbe sembrare quasi poco rilevante, un dettaglio inserito fra altri brani più importanti e significativi e, invece, mi appareuna pagina di straordinaria bellezza e freschezza, che ci parla di Gesù e del suo stile sorprendente e originale, ma anche della Chiesa come Lui la vuole.

In poche battute l’evangelista Lucaci presenta una scena del ministero pubblico di Gesùche si ripeteva tante volte. L’evangelista, come negli Atti degli Apostoli, pare offrirci qui quasi un sommario, una sorta di quadro riassuntivo dell’attività del Maestro, come già al capitolo 4 a conclusione della giornata-tipo del Signore. (31-44).

Luca sembra voler rispondere alla domanda: cosa faceva Gesù? Come il figlio di Maria, nato da Lei per opera dello Spirito, viveva le sue giornate? «Gesù– dice il Vangelo di stasera – se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (8, 1). Più esattamente, alla lettera, “egli percorreva attraverso (ogni) città e villaggio”;Gesù dunque camminava, era un itinerante, un viandante instancabile. La sua vita si svolgeva per strada. Andava nelle città ma anche nei villaggi, nei centri più popolosi, ma ugualmente nelle periferie: anzi li attraversava.

Il verbo, posto all’imperfetto indicativo, “percorreva”, dice l’insistente e persistente continuità di questo percorrere; il camminare era dunque una vera e propria costante della vita del Signore, in cui si racchiude tutto il motivo della stessa Sua venuta, un motivo espresso chiaramente proprio da Gesù quel famoso sabato nella sinagoga di Nazareth:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio…
»(4, 18).

Per questa ragione il giorno dopo alle folle che si erano messe sui suoi passi – ricordate – per cercarlo e tentare di “trattenerlo”, Egli aveva detto «“È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato”.E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea» (4, 43-44).

La ragione del suo continuo peregrinare è dunque una sola: annunciare il vangelo del Regno. «Per questo sono stato mandato»: sì, per questo il Padre lo ha inviato.

Non si tratta dunque di una predicazione astratta o, peggio ancora, moraleggiante, né di un indottrinamento teorico, ma di un annuncio di un fatto concreto: il Regno di Dio è vicino! È questa la bella notizia! Lo dicono chiaramente gli altri due verbi che San Luca utilizza per specificare il tipo di predicazione di Gesù: due verbi significativiche richiamano altri due termini e che qualificheranno anche l’azione della Chiesa di sempre: kerygma ed evangelizzazione.

In funzione di questa missione, quella di annunciare il Regno di Dio, Gesù vive tutta la sua vita! Tutto ciò che Egli fa – i gesti che compie e le parole che pronuncia: i banchetti con i pubblicani e i peccatori, gli incontri con i poveri e le prostitute, i segni di guarigione sui malati e gli esorcismi sugli indemoniati, la tenerezza per i piccoli e le donne, le lacrime che versa, i rifiuti che colleziona, gli scontri con gli scribi e i farisei, le calunnie che riceve e alle quali mai risponde, le notti in preghiera a colloquio con il Padre, il tempo trascorso con i dodici e gli altri suoi discepoli e, in particolare, la Sua passione, la Sua morte e la Sua resurrezione, in definitiva ogni cosa – ha questa unica ragione: realizzare la missione che il Padre gli ha affidato; portare il Regno di Dio e annunciarlo, farlo vedere già in opera e raccontare la bella notizia che c’è una possibilità di salvezza per tutti; tutti, veramente tutti, possono sperimentare Dio che regna nella loro vita.

In Gesù, la Via che riconduce al Padre (Gv 14,6),Dio tende nuovamente la mano all’uomo, e gli offre la possibilità di passare dalla Sua parte, di essere liberato da colui che rende schiavi ed è signore della morte, e di accogliere il dono della Vita eterna, la Vita vera. «Sono venuto– dirà Gesù – perché gli uomini abbiano la Vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10).

Tuttii suoi atti sono così al servizio del messaggio e sono segni ed espressione che il Regno di Dio sta sorgendo, anzi è già presente.

Per questa causa Gesù non si risparmia, mai! Non conosce l’orologio Gesù! Questa causa è la Sua ragion d’essere e non gli interessa altro! È il Suo motivo di vita e per essa sacrifica tutto di sé: finanche il mangiare, lo stesso riposo – mai però la preghiera! – ogni cosa e persino la sua stessa vita.

Per questo sulla croce potrà dire – pensavo mentre scrivevo questi pensieri per voi – “Tutto è compiuto!”: lui lo potrà dire, “Tutto è compiuto!”. Come a dire: ho fatto tutto ciò che volevi, ho fatto tutto come volevi, ho fatto tutto… ho dato tutto… fino all’ultima goccia di Sangue!

Non c’è in Lui niente che non abbia a che fare con la Sua missione, perché in Lui la vita e la missione coincidono: la sua vita – come dice sempre papa Francesco – èuna missione!

In questa missione Gesù però non vuole essere solo. Al contrario intende coinvolgere anche i suoi.

Così San Luca, la cui narrazione ha un chiaro intento ecclesiale, dopo aver presentato l’azione missionaria di Gesù riferisce di coloro che erano con Lui, anche loro itineranti insieme al Maestro. Innanzitutto gli apostoli: “c’erano con lui i Dodici”; letteralmente “e i Dodici con lui”; come a dire che l’attività di Gesù viene trasferita e continuata nei Dodici, anzi quel “con lui” lascia intravvedere come negli apostoli in realtà continui ad operare lo stesso Gesù ed essi formano una sola cosa con Lui:dove c’è Gesù ci sono i dodici e dove ci sono i dodici c’è Gesù!

E poi, con Gesù e i dodici, all’interno del gruppo dei discepoli, di cui già ha detto nelle pagine precedenti, Luca dice che c’erano anche – abbiamo ascoltatao – “alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni”.

Definito il nucleo fondativo e fondamentale della Chiesa – Gesù con i Dodici – Luca dedica ora una particolare attenzione, tutta sua, a presentare all’interno di coloro che seguono Gesù, il gruppo delle donne che fin dall’inizio della sua attività apostolica (23, 49.55a), nonostante le consuetudini non lo prevedessero, vanno dietro a Gesù mettendo loro stesse e i loro beni a servizio del vangelo.

C’è qui la Chiesa in nuce: una sorta di schizzo, di bozza di quella che sarà, dopo la Pentecoste, la Chiesa del Signore: una Chiesa tutta missionaria, tutta al servizio del Vangelo, dove tutto si fa per il Vangelo. Una Chiesa nella quale, certo, ci sono funzioni e ministeri diversi, in primo luogo quello degli Apostoli, ma che, al di là delle differenze dei ruoli, al di là delle responsabilità e dei carismi diversi, si riconosce – come leggiamo nell’Evangelii Gaudium– come la comunità dei discepoli missionari(24) nella quale i due aggettivi o stanno insieme o non stanno: «non diciamo più – dice perciò il Papa – che siamo “discepoli”e“missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari»(EG 120).

Una Chiesa dunque che sta con Lui e perciò diventa missionaria. Sì, perché – continua sempre papa Francesco – «l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione “si configura essenzialmente comecomunione missionaria”» (EG 23). Ciò vale per tutti e diventerà criterio di sempre, anche per le donne che lo seguono. Anzi proprio la decisione operata da Gesù – certo rischiosa, anzi scandalosa – di farsi accompagnare da alcune di loro, persone a quel tempo relegate ai margini della società, considerate poca cosa, quasi un oggetto, è già un vangelo!

Senza proclami e senza rivendicazioni, con quella scelta Egli vuole mostrare nei fatti già il vangelo del Regno, l’inizio di un mondo nuovo che viene, l’avvento del Regno nel quale i piccoli, i poveri, gli ultimi, i deboli, coloro che non contano e non sono considerati, sono beati perché amati da Dio, beati perché in Gesù Dio si è fatto come loro e viene a dire nei fatti che Egli sta dalla loro parte e proprio di loro ha deciso di servirsi per annunciare il Suo amore al mondo.

Il vangelo di questa sera oltre a dirci dello stile missionario di Gesù, ci permette così di cogliere anche qualche indicazione per la vita della Chiesa: che cos’è la Chiesa?E la risposta è semplice e chiara; leggendo il vangelo di questa sera possiamo dire così: la Chiesa è la famiglia di Gesù, la comunità dove Lui è presente; sempre, anche quando non sarà più visibile, anche quando non lo vedranno più fisicamente.

E cosa deve fare la Chiesa? La Chiesa deve fare come Gesù; la Chiesa deve continuare l’opera di Gesù. Essa è il suo prolungamento e il segno della Sua presenza. Come Gesù essa deve annunciare il Vangelo, sempre e dovunque! Per questo esiste; ed è questa la sua missione. Ritornano qui alla mente le bellissime parole del Concilio che, nella Lumen Gentium, dice proprio così: Sicut Christus… ita Ecclesia:come Cristo… così la Chiesa

«Come Cristo ha annunciato la redenzione attraverso povertà e persecuzioni, così pure la Chiesa, come Cristo spogliò se stesso, così pure la Chiesa, come Cristo è stato inviato dal Padre, così pure la Chiesa.

Come fare perché ciò avvenga? Come fare perché la Chiesa come Cristo annunci il Vangelo? Ce lo domandiamo a pochi giorni dall’inizio del prossimo ottobre, Mese Missionario Straordinario voluto da Papa Francesco e dal Convegno Ecclesiale di novembre che la nostra chiesa si prepara a celebrare, nel quale porremo a tema l’opera di evangelizzazione delle nostre comunità parrocchiali.

Non si tratta di acquisire chissà quali competenze, come se l’annuncio del vangelo fosse una tecnica da imparare, né si tratta di di diventare persone speciali; i dodici, gli altri discepoli e le donne non lo erano; anzi! Erano tutte persone però che avevano fatto un’esperienza, esperienza della resurrezione: Quelli che seguono Gesù sono tutte persone che hanno costatato il Suo intervento sulla loro pelle. Delle donne – dice Luca – che Gesùle haguarite da spiriti cattivi e da infermitàe alla Sua sequela ora per loro è iniziata una vita nuova. Amate, esse sentono che il modo più concreto per ripagare Gesù per quanto ha fatto per loro è mettersi al suo fianco e condividere la sua stessa missione, dando tutto: i propri beni, il loro tempo, la loro vita.

Carissimi, il riferimento alla malattia da cui queste donne sono guarite, cui si mostra attento il medico San Luca, ci invita a porci una domanda: qual è lo stato di salute della nostra Chiesa? Quale quello delle nostre comunità di appartenenza? Da che cosa deve guarire la nostra Chiesa? Che cosa la rende stanca, opaca, poco attraente, affetta da una sorta di senilità precoce, e perciò incapace di testimoniare la perenne giovinezza del vangelo? E soprattutto cosa possiamo fare per tentare una sua ri-animazione?

Forse la prima cosa da dire è che dobbiamo credere nella possibilità di guarigione. Sì, possiamo guarire! La nostra Chiesa può guarire, perciò non dobbiamo avere paura di dire che essa è malata, che noi siamo malati, che il vescovo è malato, che il presbiterio è malato, che le parrocchie della nostra diocesi sono malate, che le comunità, le realtà ecclesiali, sono malate. Sì, possiamo guarire! La nostra Chiesa può rialzarsi! “Questa malattia – dirà Gesù dinnanzi alla notizia della morte di Lazzaro – non è per la morte ma per la gloria di Dio” (Gv 11, 4). E ciò lo diciamo non perché riteniamo che si tratti soltanto di un lieve stato febbrile, come certe influenze di stagione, come vengono così se ne vanno, – forse si tratta di qualcosa di più serio! – ma lo affermiamo perché crediamo che al Signore tutto è possibile. Il Signore Gesù può guarirci; il Signore Gesù può guarire la nostra Chiesa, le nostre parrocchie, il Signore Gesù può guarire le nostre persone, le nostre famiglie, le nostre comunità. Il Signore Gesù può guarire le comunità parrocchiali, alle quali in modo particolare stiamo guardando in vista del Convegno; può guarire le nostre famiglie e ognuno di noi. Egli lo può fare e lo vuole fare. Anche a noi vuole dire:Sì, lo voglio sii guarito!(Mc1, 41), ma come al paralitico della piscina di Betzatà, ci domanda: «Ma tu, vuoi guarire?» (Gv 5, 6).

La domanda di Gesù: «Vuoi guarire?» ne sottintende un’altra: ti rendi conto di essere malato? Ne sei veramente convinto? Come la Chiesa di Sardi dell’Apocalisse, forse anche la nostra Chiesa non è pienamente consapevole del suo stato di salute (cfr. Ap3, 1-2), ma per un’analisi obiettiva non sono necessari esami sofisticati, basta guardarsi dentro e domandarsi: quanta passione io metto per il vangelo? Quanta passione la mia comunità mette per il vangelo? Quanta passione la Chiesa di Ischia mette per il vangelo? Il vangelo è in capo ai nostri pensieri, alle nostre preoccupazioni? L’annuncio del Regno è ciò che veramente ci sta a cuore? San Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto diceva: «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro» (I Cor9, 22-23). E sempre a quella Chiesa raccontava di viaggi innumerevoli, pericoli infiniti, fatica e travagli, veglie, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità, e del suo assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese (cfr. 2Cor11, 26-29).

Eper noi, carissimi fratelli e sorelle della chiesa di Ischia, carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi, operatori pastorali, per noi è così? Proviamo gioia nell’annunciare il Vangelo? La gioia – ha detto qualcuno – è un sintomo! Se nelle nostre comunità non c’è passione per il Vangelo, se abbiamo smesso di provarci ad annunciarlo, ci siamo messi a fare altro, qualcos’altro, seppure santo, seppure bello, ma qualcos’altro che forse ci appare più appagante, o siamo passati addirittura a dedicarci a interessi più bassi, e non a quelli di Cristo (cfr. Fil2,21), vorrà dire che forse ci siamo ammalati sul serio. Se – per dirla con il vangelo di domenica scorsa – non proviamo più la gioia nel caricarci sulle spalle la pecora ritrovata, e, viceversa, non avvertiamo il dolore, come quello della mamma per il proprio figlio, quando non riusciamo ad annunciare il vangelo, vorrà dire che la malattia è a uno stadio avanzato, stiamo andando verso una sclerocardia acuta cronica e che forse c’è in atto un sorta d’infarto spirituale. Si tratta di malattie serie per le quali non è sufficiente un po’ di panni caldi, non serve qualche iniziativa originale e neppure chissà quale evento ecclesiale. O per lo meno non basta! Non basta neppure un convegno ecclesiale come quello del prossimo novembre – lo sa bene anche il vescovo! –  al quale pure ci stiamo preparando. E neppure la soluzione potrà venire dall’esterno, da qualcuno che ti dia una ricetta bella e pronta, una sorta di infuso magico da prendere a sera lontano dai pasti e che ci assicura e ci rassicura, e ci dice di risultati eccellenti: il risultato sarà un altro fallimento perché – lo diceva l’altro ieri Papa Francesco – solo “ciò che viene dall’alto e porta la ‘firma’ di Dio è destinato a durare. I progetti umani falliscono sempre; hanno un tempo, come noi” (Udienza Generale, 18. 09.2019).

E allora cosa bisogna fare per guarire? La prima cosa da fare è metterci nelle mani del Medico celeste. Bisogna ritornare a stare con Lui. Lo testimoniano le tante comunità che hanno saputo scommettere su Gesù e hanno visto rifiorire la presenza dei cristiani al loro interno. La fecondità di una Chiesa, di una comunità, di ogni cristiano sta tutta qui: nel mettere Lui al centro! Dunque Lui al centro, Lui il protagonista, Lui in mezzo, Lui il cuore di tutto e di ogni cosa! Non noi, non il vescovo, non i preti, non questo o quell’operatore, non questa o quella realtà ecclesiale. Lui, solo Lui! Come i dodici del Vangelo di oggi: con Lui; erano con Lui. Se saremo con Lui allora ci saranno di nuovo dei cuori che ardono, allora potranno venire anche le persecuzioni, saremo lieti e saremo forti, come i martiri coreani di cui facciamo memoria oggi, è bellissimo: 103 cristiani, la maggior parte laici – il vangelo in Corea è arrivato con i laici, non con i preti! Poi sono arrivati i preti, poi è arrivato Andrea Kim, poi altri sacerdoti, ma tutti i laici che hanno annunciato il vangelo con la loro vita, con spirito di fortezza andarono incontro alla morte per Lui, certi che da Lui viene lo Spirito, da Lui la Vita!

E poi cosa bisogna fare ancora? Bisognerà ritornare a fare movimento, a fare ginnastica, a percorrere le città e i villaggi: bisognerà rimettersi per strada, vincere quella sorta di introversione ecclesiale – così la chiama papa Francesco – e aprire le porte e uscire, riprovare ad annunciare il vangelo, andare incontro alla gente per incontrare, ascoltare e fare nostre le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono. (cfr. GS 1) ed essi ci faranno rialzare, ci guariranno.

Sarà poi necessario che la nostra Chiesa assuma un nuovo programma alimentare: c’è bisogno anche per la nostra Chiesa di mettersi a dieta. Abbiamo forse fatto incetta di cose che ci hanno fatto male; ci siamo ingozzati di cibi non buoni, e ora ci siamo intossicati. ci siamo appesantiti e facciamo fatica a camminare.

San Paolo scrivendo a Timoteo nella I Lettera diceva che ci sono cose da evitare e altre invece di cui nutrirsi.

Cibo ottimo – dice Paolo – è la Parola del Signore e ciò che la Chiesa ci insegna a credere; cibo squisito e purissimo, – aggiungiamo noi – è il Pane del Cielo, il Pane degli angeli, l’Eucaristia: tutto il resto potrebbe essere dannoso, soprattutto se frutto di persone accecate dall’orgoglio, maniaci di questioni oziose e discussioni inutili, dice Paolo. Sono nate così – dice ancora l’apostolo – le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità(sta parlando della Chiesa di Efeso, non della Chiesa di Ischia). Tutto ciò va evitato, messo da parte. Non fa bene e non ci fa bene. Come pure va aborrita ogni forma di attaccamento al denaro perché l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali.

Al contrario consapevoli che “non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via”, tendiamo “alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.Di queste cose dobbiamo cibarci; su queste cose dobbiamo allenarci!

Coraggio; allora. Ricominciamo! Rimettiamoci in cammino, mettiamo da parte i pessimismi, mettiamoci tutti dietro a Gesù. Pronti come ci suggerisce l’Apostolo a combattere la buona battaglia della fede, cercando di raggiungere la vita eterna alla qualesiamo stati chiamati e per la quale tanti santi, già prima di noi, e attorno a noi, hanno fatto la loro bella professione di fede davanti a molti testimoni.

Lo chiediamo a Maria, la donna bellissima, la discepola per eccellenza, immagine e modello della Chiesa, Regina degli Apostoli e dei Martiri, la Regina dell’Isola d’Ischia e l’Aiuto dei Cristiani. Amen.