Nel Messaggio per la giornata della salvaguardia del creato, alle sette tradizionali opere di misericordia spirituale e corporale il Papa ne ha aggiunta una: la Cura della casa comune, cioè della terra e di quanto contiene. Occorre confessare «i peccati contro il creato che finora non abbiamo saputo riconoscere»

Maria Chiara Biagioni

“Usiamo misericordia verso la nostra casa comune” è il titolo del Messaggio scritto da Papa Francesco per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato che, in unione con il mondo ortodosso e in sintonia con le altre Chiese cristiane, la Chiesa cattolica celebra il 1° settembre, dal 2015. “La terra grida”, scrive il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”.

È l’ottava opera di misericordia voluta nei tempi moderni da Papa Francesco in questo anno di Giubileo. È la cura della casa comune, il nostro pianeta terra che grida e ha bisogno di un radicale cambiamento di rotta prima che sia troppo tardi. È un Messaggio breve ma ricco di spunti e proposte concrete.

Per la Chiesa cattolica, è un anno particolare: sta celebrando, infatti, il Giubileo straordinario della misericordia e Papa Francesco ha deciso da far coincidere quest’anno la preghiera per il creato con questo particolare cammino spirituale di conversione. Le opere di Misericordia sono sette e sono elencate nel brano del Vangelo di Matteo 25: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Nel periodo medievale se ne è aggiunta una settima: “Seppellire i morti”.

Papa Francesco ne propone una nuova, “moderna”, all’altezza dei tempi e delle sfide attuali: la cura della casa comune.

La dinamica della proposta segue il percorso spirituale tipico di questo Giubileo: il Papa chiede ai cristiani di pentirsi del “male che stiamo facendo alla nostra casa comune” e, “dopo un serio esame di coscienza”, mettere in atto dei comportamenti che dimostrino la volontà di cambiare radicalmente il nostro stile di vita.

“La terra grida”, dice il Papa, e “non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici”.

Grande eco ha avuto lo scorso anno in tutto il mondo l’enciclica Laudato Si’ che Papa Francesco ha dedicato alla questione ecologica. Ne parlarono i giornali ed ebbe un impatto forte anche sui lavori della Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici, la Cop21, che riunì a Parigi 195 leader mondiali. Da allora, l’impegno di Francesco per una “ecologia integrale” non si è mai spento. Il Papa è preoccupato per la sorte della terra e per gli effetti che i cambiamenti climatici hanno soprattutto sulle popolazioni più povere. “Il pianeta – scrive nel Messaggio del 1°settembre – continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività umana: il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà ancora di più. Questo provoca siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più vulnerabili e già ne subiscono gli effetti”.

Francesco invita a fare un esame di coscienza ma il pentimento “deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato”. Il Messaggio contiene una sorta di decalogo, una serie di “gesti” concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente: “Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone”. “Non dobbiamo credere – scrive il Papa – che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo”.

“Il primo passo da fare – spiega ai giornalisti il cardinale il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson – è riconoscere umilmente il male che stiamo arrecando alla terra”. Inquinamento, distruzione degli ecosistemi, perdita della biodiversità e lo spettro del cambiamento climatico, che di anno in anno, sembra essere sempre più vicino e pericoloso. “È necessario comprendere – incalza il cardinale – che quando arrechiamo un danno alla terra, facciamo del male ai poveri, infinitamente amati da Dio”. Alla consapevolezza, deve seguire il proposito di modificare “il corso delle nostre esistenze” nella nostra quotidianità, “senza pensare che il nostro impegno, anche se fatto di piccoli gesti, non serva a nulla”. Tutti gli analisti concordano nel dire che lo stato di salute del nostro pianeta è talmente grave da richiedere un impegno immediato e forte per fermare il lento ma continuo processo di riscaldamento. “È fondamentale – dice il cardinale Turkson – che si convertano anche gli economisti e i politici”. E a questo riguardo il cardinale fa riferimento all’Accordo di Parigi che ha posto come limite massimo i due gradi e domanda di limitare l’innalzamento a 1.5 gradi. “Il raggiungimento di tale obiettivo – chiede alla fine il cardinale – è enormemente più difficile e richiederà che il ‘fermo proposito di cambiare vita’ diventi persino più forte. Siamo all’altezza del compito?”.