INTERVISTA A PAPA FRANCESCO

Il Pontefice spiega: «Ho convocato il Giubileo perché ho sentito che era desiderio del Signore mostrare agli uomini la via della riconciliazione». E svela che lui stesso, in un momento di dolore, ha sperimentato su di sé la misericordia di Dio.

a cura di don Antonio Rizzolo, direttore di Credere.

pAPA GIOVANIInutile nasconderlo: per un giornalista, intervistare il Papa è come una medaglia d’oro alle olimpiadi per un atleta; uno di quegli obiettivi impossibili che tutti, nel nostro mestiere, prima o poi sognano di raggiungere. Per noi di Credere però, in questo caso, non è così: il nostro obiettivo non era appuntarci sul petto la stelletta al merito. Piuttosto, come rivista ufficiale del Giubileo, ci è sembrato necessario, inevitabile quasi, iniziare il percorso di questo Anno santo straordinario ascoltando innanzitutto le risposte di Jorge Mario Bergoglio, il Vescovo di Roma che questa iniziativa posta sotto il segno della misericordia ha voluto sin dal primo istante della sua elezione, la sera del 13 marzo 2013.

Come è successo in altre interviste che ha concesso in questi due anni e mezzo di pontificato, papa Francesco non si è tirato indietro. E anche sulle domande più personali, com’è nel suo stile, non ha glissato. Anzi, le sue riflessioni spirituali si capiscono meglio, e appaiono vere in modo trasparente, perché Bergoglio le fonda sempre sulla propria esperienza personale di credente, un semplice cristiano bisognoso – come tutti – della misericordia del Signore.

Siamo sicuri che, come è capitato a noi, anche ai nostri lettori le parole di Francesco risulteranno preziose per metterci tutti quanti in cammino sulla strada tracciata da questo Giubileo. Nello spirito degli antichi pellegrini, questuanti della grazia e della verità del Signore Gesù, la cui venuta questo tempo liturgico ci ricorda essere ormai prossima.

Padre Santo, ora che stiamo per entrare nel vivo del Giubileo, ci può spiegare quale moto del cuore l’ha spinta a mettere in risalto proprio il tema della misericordia? Quale urgenza percepisce, a tale riguardo, nell’attuale situazione del mondo e della Chiesa?

«Il tema della misericordia si va accentuando con forza nella vita della Chiesa a partire da Paolo VI. Fu Giovanni Paolo II a sottolinearlo fortemente con la Dives in misericordia, la canonizzazione di santa Faustina e l’istituzione della festa della Divina Misericordia nell’Ottava di Pasqua. Su questa linea, ho sentito che c’è come un desiderio del Signore di mostrare agli uomini la sua misericordia. Non è quindi venuto in mente a me, ma riprendo una tradizione relativamente recente, sebbene sempre esistita. E mi sono reso conto che occorreva fare qualcosa e continuare questa tradizione. Il mio primo Angelus come Papa fu sulla misericordia di Dio e in quell’occasione parlai anche di un libro sulla misericordia regalatomi dal cardinale Walter Kasper durante il Conclave; anche nella mia prima omelia come Papa, domenica 17 marzo nella parrocchia di Sant’Anna, parlai della misericordia. Non è stata una strategia, mi è venuto da dentro: lo Spirito Santo vuole qualcosa. È ovvio che il mondo di oggi ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di patire con. Siamo abituati alle cattive notizie, alle notizie crudeli e alle atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è Padre, che c’è misericordia, che la crudeltà non è la strada, che la condanna non è la strada, perché la Chiesa stessa a volte segue una linea dura, cade nella tentazione di seguire una linea dura, nella tentazione di sottolineare solo le norme morali, ma quanta gente resta fuori. Mi è venuta in mente quell’immagine della Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia; è la verità, quanta gente ferita e distrutta! I feriti vanno curati, aiutati a guarire, non sottoposti alle analisi per il colesterolo. Credo che questo sia il momento della misericordia. Tutti noi siamo peccatori, tutti portiamo pesi interiori. Ho sentito che Gesù vuole aprire la porta del suo cuore, che il Padre vuole mostrare le sue viscere di misericordia, e per questo ci manda lo Spirito: per muoverci e per smuoverci. È l’anno del perdono, l’anno della riconciliazione. Da un lato vediamo il traffico di armi, la produzione di armi che uccidono, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli possibili, lo sfruttamento di persone, minori, bambini: si sta attuando – mi si permetta il termine – un sacrilegio contro l’umanità, perché l’uomo è sacro, è l’immagine del Dio vivo. Ecco, il Padre dice: “Fermatevi e venite a me”. Questo è quello che io vedo nel mondo».

Rivista CredereLei ha detto che, come tutti i credenti, si sente peccatore, bisognoso della misericordia di Dio. Che importanza ha avuto nel suo cammino di sacerdote e di vescovo la misericordia divina? Ricorda in particolare un momento in cui ha sentito in maniera trasparente lo sguardo misericordioso del Signore sulla sua vita?

«Sono peccatore, mi sento peccatore, sono sicuro di esserlo; sono un peccatore al quale il Signore ha guardato con misericordia. Sono, come ho detto ai carcerati in Bolivia, un uomo perdonato. Sono un uomo perdonato, Dio mi ha guardato con misericordia e mi ha perdonato. Ancora adesso commetto errori e peccati, e mi confesso ogni quindici o venti giorni. E se mi confesso è perché ho bisogno di sentire che la misericordia di Dio è ancora su di me. Mi ricordo – l’ho già detto molte volte – di quando il Signore mi ha guardato con misericordia. Ho avuto sempre la sensazione che avesse cura di me in un modo speciale, ma il momento più significativo si verificò il 21 settembre 1953, quando avevo 17 anni. Era il giorno della festa della primavera e dello studente in Argentina, e l’avrei trascorsa con gli altri studenti; io ero cattolico praticante, andavo alla Messa della domenica, ma niente di più… ero nell’Azione cattolica, ma non facevo nulla, ero solo un cattolico praticante. Lungo la strada per la stazione ferroviaria di Flores, passai vicino alla parrocchia che frequentavo e mi sentii spinto a entrare: entrai e vidi venire da un lato un sacerdote che non conoscevo. In quel momento non so cosa mi accadde, ma avvertii il bisogno di confessarmi, nel primo confessionale a sinistra – molta gente andava a pregare lì –. E non so cosa successe, ne uscii diverso, cambiato. Tornai a casa con la certezza di dovermi consacrare al Signore e questo sacerdote mi accompagnò per quasi un anno. Era un sacerdote di Corrientes, don Carlos Benito Duarte Ibarra, che viveva nella Casa del Clero di Flores. Aveva la leucemia e si stava curando in ospedale. Morì l’anno successivo. Dopo il funerale piansi amaramente, mi sentii totalmente perso, come col timore che Dio mi avesse abbandonato. Questo è stato il momento in cui mi sono imbattuto nella misericordia di Dio ed è molto legato al mio motto episcopale: il 21 settembre è il giorno di san Matteo, e Beda il Venerabile, parlando della conversione di Matteo, dice che Gesù guardò Matteo “miserando atque eligendo”. Si tratta di un’espressione che non si può tradurre, perché in italiano uno dei due verbi non ha gerundio, neppure in spagnolo. La traduzione letterale sarebbe “misericordiando e scegliendo”, quasi come un lavoro artigianale. “Lo misericordiò”: questa è la traduzione letterale del testo. Quando anni dopo, recitando il breviario latino, scoprii questa lettura, mi accorsi che il Signore mi aveva modellato artigianalmente con la sua misericordia. Ogni volta che venivo a Roma, poiché alloggiavo in via della Scrofa, andavo nella chiesa di San Luigi dei Francesi a pregare davanti al quadro del Caravaggio, appunto la Vocazione di san Matteo»

Secondo la Bibbia, il luogo dove dimora la misericordia di Dio è il grembo, le viscere materne, di Dio. Che si commuovono al punto da perdonare il peccato. Il Giubileo della misericordia può essere un’occasione per riscoprire la “maternità” di Dio? C’è anche un aspetto più “femminile” della Chiesa da valorizzare?

«Sì, lui stesso lo afferma quando dice in Isaia che si dimentica forse una madre del suo bambino, anche una madre può dimenticare… “io invece non ti dimenticherò mai”. Qui si vede la dimensione materna di Dio. Non tutti comprendono quando si parla della “maternità di Dio”, non è un linguaggio popolare – nel senso buono della parola – sembra un linguaggio un po’ eletto; perciò preferisco usare la tenerezza, propria di una mamma, la tenerezza di Dio, la tenerezza nasce dalle viscere paterne. Dio è padre e madre».

La misericordia, sempre se ci riferiamo alla Bibbia, ci fa conoscere un Dio più “emotivo” di quello che talvolta ci immaginiamo. Scoprire un Dio che si commuove e si intenerisce per l’uomo può cambiare anche il nostro atteggiamento verso i fratelli?

«Scoprirlo ci porterà ad avere un atteggiamento più tollerante, più paziente, più tenero. Nel 1994, durante il Sinodo, in una riunione dei gruppi, dissi che si doveva instaurare la rivoluzione della tenerezza, e un Padre sinodale – un buon uomo, che io rispetto e al quale voglio bene – già molto anziano, mi disse che non conveniva usare questo linguaggio e mi diede spiegazioni ragionevoli, da uomo intelligente, ma io continuo a dire che oggi la rivoluzione è quella della tenerezza perché da qui deriva la giustizia e tutto il resto. Se un imprenditore assume un impiegato da settembre a luglio, gli dissi, non fa la cosa giusta perché lo congeda per le vacanze a luglio per poi riprenderlo con un nuovo contratto da settembre a luglio, e in questo modo il lavoratore non ha diritto all’indennità, né alla pensione, né alla previdenza sociale. Non ha diritto a niente. L’imprenditore non mostra tenerezza, ma tratta l’impiegato come un oggetto – tanto per fare un esempio di dove non c’è tenerezza. Se ci si mette nei panni di quella persona, invece di pensare alle proprie tasche per qualche soldo in più, allora le cose cambiano. La rivoluzione della tenerezza è ciò che oggi dobbiamo coltivare come frutto di questo anno della misericordia: la tenerezza di Dio verso ciascuno di noi. Ognuno di noi deve dire: “Sono uno sventurato, ma Dio mi ama così; allora anche io devo amare gli altri nello stesso modo”».

È famoso il «discorso della luna» di papa Giovanni XXIII, quando, una sera, salutò i fedeli dicendo: «Date una carezza ai vostri bambini». Quell’immagine divenne un’icona della Chiesa della tenerezza. In che modo il tema della misericordia potrà aiutare le nostre comunità cristiane a convertirsi e a rinnovarsi?

«Quando vedo i malati, gli anziani, mi viene spontanea la carezza… La carezza è un gesto che può essere interpretato ambiguamente, ma è il primo gesto che fanno la mamma e il papà col bambino appena nato, il gesto del “ti voglio bene”, “ti amo”, “voglio che tu vada avanti”».

Ci può anticipare un gesto che intende fare durante il Giubileo per testimoniare la misericordia di Dio?

«Ci saranno tanti gesti che si faranno, ma un venerdì di ogni mese farò un gesto