A quattro anni dall’elezione di Papa Francesco, il nostro vescovo ci dona un’appassionata intervista. Dopo i ricordi personali si sofferma sulla conversione missionaria, sulla famiglia, rilegge il recente cammino della nostra Chiesa e riflette sulla rinuncia del Papa emerito
Di Marco Trani
Eccellenza, il 13 marzo la Chiesa universale ha ricordato il IV anniversario dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio a vescovo di Roma, come lui ha amato definirsi quello stesso giorno dalla loggia centrale della Basilica di S. Pietro. Ci può descrivere la Sua impressione quando ha appreso la notizia?
“Quel giorno concludevo gli Esercizi Spirituali in preparazione all’Ordinazione Episcopale, appresi la notizia attraverso la TV e vidi in diretta il primo saluto del Santo Padre e fui meravigliato dalla sua semplicità, dell’aver sottolineato l’importanza di questo cammino che iniziava insieme: Vescovo e popolo. Mi colpì anche il suo gesto di inchinarsi davanti al popolo con la richiesta di pregare per lui affinché il Signore lo potesse benedire.
Ebbi la netta sensazione che con lui tante cose sarebbero cambiate, che la Chiesa avrebbe iniziato un nuovo corso. Il giorno dopo, ascoltando la sua Omelia alla S. Messa con il Collegio Cardinalizio, mi resi conto che la mia impressione della sera precedente era confermata; parlando della Chiesa ci donò tre parole: camminare, edificare, confessare. Qualcosa di nuovo stava nascendo nella Chiesa, ci trovavamo dinanzi ad una nuova primavera della Chiesa”.
Lei ha incontrato il Santo Padre varie volte, può raccontare per Kaire l’episodio che più Le è rimasto impresso?
“Non nascondo che la prima volta ero emozionatissimo, parlare con il Santo Padre per me era una cosa quasi impensabile, ma lui subito mi mise a mio agio. Dopo essermi seduto parlavo con lui come se stessi parlando con un amico di vecchia data, dopo aver concluso il colloquio mi meravigliai dell’estrema naturalezza di quell’incontro così significativo.
Tutte le volte che ho incontrato Papa Francesco ho sempre percepito la sua grande capacità di ascolto che ti da la sensazione netta che lui in quel momento stia lì solo per te.
Il Papa è veramente un grande uomo di Dio, è il primo che vuole fare sul serio, che ci tiene a vivere il Vangelo sine glossa. Credo che questo suo desiderio sia al tempo stesso anche la sua grande forza che gli dona quella libertà, oserei dire “evangelica”, che non lascia fare sconti a nessuno e gli permette di mettere mano affinché la Chiesa, come in ogni tempo, risponda al Vangelo di Gesù Cristo”.
Il primo convegno della Chiesa di Ischia da quando Lei è vescovo di Ischia ha riguardato l’Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Questa esortazione apostolica di primo acchito non ha ricevuto una grande eco rispetto alla sua straordinaria portata: secondo Lei perché?
“Credo che la Chiesa abbia preso coscienza un po’ alla volta che quanto affermato in Evangelii gaudium sia da ritenere il programma pastorale di Papa Francesco.
Il Santo Padre, trattando il grande tema dell’evangelizzazione, in qualche modo ha affrontato varie questioni che riguardano tutta la vita della Chiesa: forse per questo inizialmente è stato percepito più come un discorso parenetico che un testo magisteriale da prendere in grande considerazione; ma mi accorgo che sempre di più questo documento viene apprezzato. Anche grazie alla recente riflessione teologica possiamo ritenere Evangelii gaudium la magna charta pastorale di questo nostro tempo che si pone in continuità con Evangelii nuntiandi di Paolo VI e con il documento redatto dall’episcopato latinoamericano ad Aparecida.
Alla sua domanda precedente aggiungerei che una volta incontrando il Santo Padre lo ringraziai per lo stile nuovo di questo documento e, in qualche modo, rivoluzionario col quale mette al centro della vita della Chiesa la conversione missionaria. Papa Francesco mi rispose: “Certo, adesso bisogna attuarlo!”. Sicuramente il Papa non vuole che questa esortazione apostolica passi inosservata”!
Eccellenza, di recente la Conferenza Episcopale Campana, di cui Lei è membro, ha pubblicato le linee guida per la recezione della “tanto discussa” Amoris laetitia. A quanto pare i vescovi campani, approvando questi orientamenti all’unanimità, non hanno dubbi sull’ortodossia dell’esortazione apostolica di Papa Francesco: secondo Lei qual è la novità che il Santo Padre ci sta dando circa la famiglia?
“Certamente non hanno dubbi! Strano che qualcuno nutra dubbi su questo! Al di là di qualche posizione amplificata dai media la grandissima parte dell’episcopato mondiale ha una profonda gratitudine al Santo Padre per questo suo documento. Possiamo ritenere Amoris Laetitia quasi l’attuazione di Evangelii gaudium all’interno dell’ambito della pastorale familiare. Papa Francesco ci invita a guardare la famiglia nella sua concretezza e investiga nuove vie per annunciare il Vangelo ad ogni famiglia, in qualunque situazione si trovi a vivere, proprio perché nessuno è escluso dall’amore di Dio. Amoris Laetitia non tocca la dottrina sul matrimonio e la famiglia, è un documento pastorale che ci invita a non limitarci sul ritenere cosa è giusto o meno: tutte le famiglie, anche quelle ferite, comunemente dette “irregolari”, devono trovare una possibilità per incontrare il Signore.
Questo chiama anche a responsabilità i nostri cammini di formazione in preparazione al Sacramento del Matrimonio, Papa Francesco parlando alla Rota Romana (il 21 gennaio 2017, ndr) e recentemente, il 28 febbraio, ai Parroci ha sottolineato l’urgenza di un “nuovo catecumenato” in preparazione al Matrimonio come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti, che non si esaurisca quindi con la celebrazione del Sacramento ma che aiuti i novelli sposi a proseguire il cammino nella fede”.
Più volte Papa Francesco ha affermato che «Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». Lei da vescovo come sta cercando di coniugare entrambe le istanze nell’esercizio del suo ministero?
“Speriamo che ci stia riuscendo! Le risponderei sicuramente attraverso l’ascolto. Un vescovo deve ascoltare tutti e in qualche modo coinvolgere tutti i fedeli nella consapevolezza che lo Spirito Santo passa attraverso ogni battezzato. Ho il grande desiderio di condividere, insieme ai presbiteri, primi collaboratori del vescovo, di metterci affianco a questo popolo con le sue sofferenze, cercando di farci uno con la fatica della gente, di vivere il Vangelo e di accogliere la Parola che salva.
Certamente la verità non è nostro deposito ma la scopriamo insieme, il vescovo non ha ricette, ma ogni giorno cerca di scoprire insieme cosa il Signore chiede alla sua Chiesa di Ischia”.
Tenerezza, misericordia, solidarietà, vicinanza, discernimento, umiltà, servizio, periferie esistenziali… solo alcuni lemmi del “vocabolario di Papa Francesco”: la Chiesa di Ischia come sta imparando questo “nuovo linguaggio”?
“Mi auguro vivamente che stiamo imparando questo “nuovo linguaggio”. Bisogna dire che questo è il linguaggio del Vangelo, il linguaggio della Chiesa di sempre, Papa Francesco non sta facendo altro che riportare al centro della vita della Chiesa il Vangelo: non è così innaturale, convertirci al Vangelo è la grande scommessa del cristianesimo, anzitutto per me vescovo!
Come Chiesa di Ischia stiamo cercando di parlare questo linguaggio attraverso le opere segno, il Centro di Prima Accoglienza “Giovanni Paolo II”, il Consultorio Familiare, la Casa “Don Oreste Benzi”, la prossima Casa “S. Maria della Tenerezza”, ma soprattutto con lo stile di vita di ogni giorno delle nostre comunità cristiane. La Missione dei Frati Minori della provincia umbra e i successivi itinerari proposti per le famiglie, giovani e giovanissimi, hanno dentro il desiderio di un rinnovato annuncio del Vangelo che ci provoca, che fa bene anzitutto a noi”.
Mi permetta un’ultima domanda sul Papa emerito: è stato Benedetto XVI a nominarLa vescovo di Ischia a pochi giorni dalla sua rinuncia al Pontificato. Ha avuto modo di incontrarlo e come rilegge oggi quell’atto così inimmaginabile?
“Sì, l’ho incontrato il giorno della canonizzazione di S. Giovanni XXIII e S. Giovanni Paolo II, poco prima che iniziasse la Santa Messa di canonizzazione. Mi colpì la sua straordinaria lucidità, quando mi presentai si ricordava bene di avermi eletto vescovo, così come ricordava bene Ischia per esserci venuto e menzionò il problema dell’abusivismo edilizio. Incontrandolo notai la sua grande umiltà, stava lì come uno tra i tanti concelebranti. Ebbi la sensazione che Benedetto XVI avesse voluto a tutti i costi essere un uomo libero, la sua rinuncia è stato un grande segno di semplicità per continuare ad essere “un umile servitore nella vigna del Signore” come disse il giorno della sua elezione.
Sicuramente il suo gesto ha segnato una nuova stagione nell’esercizio del ministero petrino, concretamente ha messo mano alla riforma di cui già faceva cenno S. Giovanni Paolo II nella famosa enciclica Ut unum sint che chiedeva di aiutarlo a ripensare l’esercizio del primato petrino. Con Papa Francesco da una parte e la rinuncia di Papa Benedetto XVI dall’altra, la Chiesa e il papato non saranno più come prima”.