la domenica del Papa – 01nov2015
L’annuncio: “Ho in animo di aprire la Porta Santa” in Centrafrica
Un tempo a essere venerati sugli altari erano soprattutto papi, monaci, dottori della Chiesa, fondatori e fondatrici di Ordini religiosi. Uomini e donne, semplici fedeli, dovevano invece passare per lunghe vite di macerazioni e di penitenze per essere considerati degni di avere una qualche nicchia nelle chiese. Con san Giovanni Paolo II la santità si arricchisce di volti “nuovi”, di “gente comune”, e persino uno spazzacamino, Peter Friedhofen, e uno zingaro, Zefirino Giménez Malla, possono così diventare beati. Ma, d’altra parte, come diceva sempre papa Wojtyla, all’Angelus, il 1° novembre 2001, i santi “sono coloro che, secondo l’Apocalisse, sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello. Hanno saputo andare controcorrente, accogliendo il discorso della montagna come norma ispiratrice della loro vita”. Ogni cristiano “è chiamato alla santità, cioè a vivere le beatitudini”.
La liturgia di questa domenica ci chiede di fare memoria di tutti i santi, e non è tanto per una preoccupazione di dimenticarne qualcuno, integrando il numero di coloro che vengono ricordati nelle singole celebrazioni durante l’anno liturgico, quanto per affermare il carattere universale della chiamata alla santità. L’Apocalisse parla di un numero sterminato e usa come simbologia centoquarantaquattromila; persone segnate dal sigillo di Dio. Cioè, spiega Francesco, “i santi appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo, sono sua proprietà”. Sigillo ricevuto nel battesimo, che ci fa “diventare suoi figli”, così, afferma ancora il Papa all’Angelus, “portiamo il cognome di Dio, il nostro cognome è Dio, perché siamo figli di Dio. Qui sta la radice della vocazione alla santità”.
Certo spaventa questa eredità: avere il cognome di Dio – ma ne siamo degni? – seguire l’esempio di sante e santi – ma ne siamo capaci? – che ci indicano il cammino da seguire. Si tratta non tanto una imitazione di gesti e opere, quanto vivere nello spirito che ha mosso i loro passi. Ecco qui il riferimento alle beatitudini, nel passo di Matteo, e su cosa si fonda la gioia di coloro che vengono chiamati beati: i poveri, i miri, gli afflitti, gli affamati di giustizia. Francesco ci ricorda che se sono da imitare i canonizzati, ci sono anche “i santi, per così dire, ‘della porta accanto’, che, con la grazia di Dio, si sono sforzati di praticare il Vangelo nell’ordinarietà della loro vita”. Quanti cioè hanno agito nella storia seguendo le otto beatitudini curvandosi verso colui che è nel bisogno senza badare al colore della pelle, alla sua carta di identità, se mai ne avesse una; prendendo le loro difese e facendosi carico del loro diritto ingiustamente offeso. Santi sconosciuti e forse mai saranno proclamati tali dalla Chiesa, ma donne e uomini che hanno saputo camminare accanto al prossimo, senza accendere i riflettori sul loro gesto: “Quanta gente buona abbiamo conosciuto e conosciamo, e noi diciamo: ‘Ma questa persona è un santo’, lo diciamo, ci viene spontaneo. Questi – dice Francesco – sono i santi della porta accanto”. Persone che hanno camminato controcorrente seguendo il Vangelo, che non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, scriveva Benedetto XVI nella Spe salvi, ma “è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente”.
Chi testimonia nella sua vita il Vangelo delle beatitudini porta un messaggio di misericordia e di riconciliazione. Lo dice Francesco con un pensiero alla Repubblica Centroafricana, una delle tre mete del suo viaggio in Africa. Paese segnato da violenze e conflitti, e per questo il Papa, il prossimo 29 novembre, aprirà a Bangui la porta santa della cattedrale. Perché, come afferma nell’omelia alla Messa celebrata al Verano, “quelli che ogni giorno, con pazienza, cercano di seminare pace, sono artigiani di pace, di riconciliazione, questi sì sono beati, perché sono veri figli del nostro Padre del Cielo, che semina sempre e solo pace, al punto che ha mandato nel mondo il suo Figlio come seme di pace per l’umanità”.
Fabio Zavattaro