Quest’anno, non so perché, nel contemplare il presepe il mio sguardo si è fermato su Giuseppe! È indubbio, lo sappiamo: in quel sacro scenario dopo Gesù e la Madonna è lui il personaggio più importante. In piedi o seduto, oppure genuflesso in adorazione, vicino alla greppia o alla culla dove è adagiato il Bambino, di certo non può mancare! Anche perché, a dire il vero, dopo Maria, è proprio il carpentiere di Nazareth a giocare il ruolo più decisivo nel sogno di Dio di inviare nel mondo il Suo Figlio, l’Unigenito e l’Amato.
Perciò anche chi, per ragioni di spazio o di altro tipo, sceglie, in casa o altrove, di limitarsi a rappresentare la sola stalla di Betlemme, sa che non è possibile che manchi, quale padre adottivo di Gesù, lo sposo della Vergine Maria.
Certo, oggi c’è chi ne farebbe volentieri a meno! Ma, con buona pace di quanti pensano che i figli possano nascere e crescere anche al di fuori di una stabile relazione di una donna e di un uomo, quello di Betlemme è, tra gli umani, l’unico modello pensato da Dio: il modello-famiglia di cui leggiamo nella Genesi. Sì, quel modello è il solo a cui ispirarsi e al quale riteniamo si debba guardare.
Immagino la possibile obiezione. Si direbbe che proprio a Betlemme le cose non siano andate esattamente così. Ma quella volta – lo sappiamo – si trattava di una nascita tutta speciale. Concepito per opera dello Spirito, quel Bambino, nato da donna, era il Figlio di Dio: l’Emmanuele, Dio stesso venuto ad abitare in mezzo a noi. E a Giuseppe fu chiesto solamente – l’avverbio è quanto mai inadeguato e, financo, fuori luogo – di adottarlo.
Del resto proprio quella situazione, veramente singolare, così difficile da comprendere e anche da accettare, ci dice la grandezza dello sposo di Maria.
Nel presepe, accanto a Gesù, l’osservo e mi fermo a contemplarlo. Lo vedo con il bastone tra le mani; a volte fiorito, per obbedire ai racconti dei vangeli apocrifi come nella migliore tradizione napoletana, a volte invece no.
Il bastone direbbe che sia anziano; ma a me piace immaginare che stia là a ricordare che Giuseppe è il custode! Il custode di Maria e di Gesù; e, più in avanti, custode della Chiesa e di ognuno di noi!
Anche se quel Figlio non è suo, a lui è però affidato; la sua missione sarà perciò di custodirlo: custodire Lui e Maria. Come eserciterà Giuseppe quella custodia? Papa Francesco risponde: “Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. (…) Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio”. Dio chiede la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno e “Giuseppe è ‘custode’, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate” (Omelia, 19 marzo 2013).
Mentre ascolto le parole del Papa, guardo Giuseppe, lo scruto e sento che da lui debbo imparare. Innanzitutto il silenzio. Giuseppe non dice una parola: se pochissime nei vangeli sono quelle di Maria, di lui neppure una ci viene consegnata. Giuseppe non parla – mi dico – perché ha scelto di fidarsi di Dio ed è pronto ad ascoltare. Gli è costato tanto! Ma ora, arreso alla Sua Parola, ha un solo desiderio: discernere la volontà di Dio; capire i passi da compiere per essere fedele fino in fondo alla sua missione.
Poi con il pensiero vado a tante immagini che parlano di lui. L’iconografia è ricca e varia, sia quella orientale delle icone, sia quella più nostrana delle tele. Molti autori lo mostrano con il Libro tra le mani, mentre scruta le Scritture. Ma un’opera tra tutte vado a ricordare: Giotto, Natività, Cappella degli Scrovegni. In quell’affresco Giuseppe, come appare a volte anche nelle icone, è distante da Maria e dal Bambino, non al centro della scena ma in basso e di lato; seduto, assorto, quasi che dorma e, nel sonno, cerchi di capire. D’altronde fu proprio nel sogno che Dio gli parlò e lo convinse a fidarsi di Lui. “Non temere“: gli disse Dio! Fu quella, attraverso l’angelo, la prima parola che lo raggiunse. Immagino il dialogo con Maria: “mi ha detto: non temere! E lei a lui: la stessa cosa disse anche a me!”.
E poi ancora quando, a causa di Erode, Dio gli chiese di alzarsi e prendere con sé il Bambino e sua Madre e fuggire in Egitto e quando gli disse di ritornare: sempre nel sogno, Dio gli parlò. Lo ammiro dunque dormiente, tranquillo e sereno, quasi che dica: “parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta!”.
Giuseppe ha consegnato a Dio la sua vita e vuole fare solo ciò che a Lui piace. È custode perché custodito, pastore perché pellegrino, fedele perché in cammino per le vie di Dio. Con il salmista gli dico: “Lampada ai tuoi passi è la sua Parola, luce al tuo cammino”.
Giuseppe: chi ti ha insegnato ad obbedire? Forse Maria? O forse insieme vi aiutaste a dire sì? In fondo amare gli altri è aiutarli ad essere migliori! Ma, certo, anche Gesù imparò da voi. E voi, ancor di più, da Lui! Ecco cos’è la santa famiglia: – mi dico – esperienza di reciprocità e comunione d’amore. Come nella Trinità!
Lo scruto ancora e penso: Giuseppe è per tutti un esempio a cui guardare, un modello da imitare, un santo a cui chiedere di pregare. E mi domando: perché il popolo con fiducia, come a Maria, va a lui? Perché come in terra, così in cielo Gesù volle essergli sottomesso: risponde santa Teresa d’Avila. O forse perché, come Maria, arreso a Dio, Dio a lui si arrende e tutto gli concede. Ma lui mi pare voglia dirmi altro: guarda a Gesù; non conto io. Vedi il presepe: il centro è Lui. Vivi per Lui, come ho fatto io. Non temere! Fidati di Lui! E la tua vita, da sterile diventerà feconda!
Mi fido? Mi fido! Grazie Gesù!
Santo Natale 2016
+ Pietro, vescovo