CINEMA EXCELSIOR 26 gennaio 2015
Grazie al Vescovo Pietro con il quale abbiamo condiviso i tempi del seminario e tutto l’iter della preparazione teologica e anche possiamo dire le battaglie di quegli anni giovanili piene di entusiasmo. E se c’è una cosa che mi piace sempre ripetere è che il passare degli anni non ha diminuito in niente quell’entusiasmo ma ha ampliato ancora di più gli orizzonti per cui mi sento e ci sentiamo certamente ancora proiettati verso un futuro che il Signore non si stanca di costruire e di collaborare con Lui. Che cosa allora ho portato con me? Ho portato le reliquie dei beati, Luigi e Zelia Martin, i genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino. Queste reliquie io le ho ricevute dal rettore di Lisieux perché siamo impegnati con la mia comunità a diffondere nel modo più ampio possibile la santità coniugale e familiare vissuta da questi due sposi. Posso anche dirvi nell’attesa di avere quest’annuncio ufficiale, che molto probabilmente questa coppia verrà canonizzata nel corso di quest’anno perché l’unica cosa che era necessaria essendo stati già proclamati beati era il riconoscimento del miracolo, di un secondo miracolo. Riconoscimento che è stato approvato dalla commissione teologi ora gli altri passaggi sono molto semplici, di carattere più formale, ovviamente compresa la firma del Papa. Quindi secondo quelli che conoscono, che si avventurano nei corridoi pontifici sembra che questa canonizzazione possa avvenire proprio a conclusione del prossimo sinodo.
Io ho vissuto il sinodo, da lontano, non solo perché non stavo a Roma ma perché in quei giorni mi trovavo in Burkina Faso, quindi stavo a cinquemila chilometri di distanza in Africa. Lì abbiamo una missione però in quei giorni seguivo con molta attenzione le varie cronache e naturalmente come accennava Lucia, arrivava il sinodo mediatico. Quindi le cronache parziali e tuttavia la cosa per me più importante era accompagnare con la preghiera, nel luogo dove io vivo, Angri in provincia di Salerno, a dieci chilometri da Pompei, abbiamo una cappella dedicata ai beati Martin. In quei giorni, essendo questa cappella un luogo per la famiglia, in tutti i quindici giorni del sinodo noi abbiamo pregato giorno e notte facendo la donazione eucaristica continua per quei quindici giorni perché mai mancasse la preghiera ad accompagnare i padri sinodali in quel passaggio così difficile.
Comincio col dire che il sinodo è una risorsa per la famiglia. Perché? Perché accende i riflettori su questa realtà troppo spesso bistrattata, trascurata, spesso presentata solo nella sua dimensione di fragilità, solo nella negatività che purtroppo a volte emerge e raggiunge anche le pagine della cronaca nera. Il sinodo accende i riflettori su questa famiglia per mostrare la vitalità, la bellezza della comunità domestica e d’altra parte la famiglia rappresenta una risorsa per la Chiesa. Perché è la famiglia che può partecipare pienamente alla realizzazione della Chiesa. Ho letto con molto piacere il messaggio che il Papa ha pubblicato proprio qualche giorno fa in vista della giornata mondiale delle comunicazioni sociali e fra i tanti passaggi voglio richiamarne uno. Dice il Papa: guardiamo la famiglia nella sua realtà, guardiamola come una comunità dove le persone si incontrano, comunicano, si sostengono. Sì partiamo dalla realtà della famiglia, non da quello che si scrive sulla famiglia, dalla realtà che noi conosciamo. Che cosa è la famiglia, come potremmo così racchiuderla, direi così: la famiglia è il luogo dove l’uomo e la donna decidono di consegnarsi l’uno all’altra. A quel punto hanno tutto, ma a loro non resta niente. È il luogo dove ognuno si consegna, consegna la sua libertà, consegna i sogni ed è pronta a vivere tutta la gioia e tutto il dolore che quell’esperienza comporta. La famiglia è un microcosmo dove entrano tutte le ferite dell’umanità. Dove ci sono tutte le fragilità ma dove c’è tutta una pienezza di vita che si esprime in quella corrente di amore che unisce gli sposi nel trasmettere la vita, nel prendersi cura della vita dei figli e anche quando c’è una sufficiente, capacità, energia, e anche una fede più matura quella famiglia ha tutte le porte aperte perché altri, altre persone, altre situazioni, possano trovare accoglienza. Il sinodo parla della famiglia, ma parla anche alla famiglia, ad ogni famiglia. Non parliamo soltanto di quelle famiglie chiamiamole così ‘straordinarie’, cioè di quelle famiglie che hanno ricevuto doni particolari, quelle che noi potremmo dire fortemente impegnate anche a livello ecclesiale, oltre che a livello sociale, io ne conosco tante condividiamo tante battaglie, combattiamo tante battaglie, ma non sono solo queste famiglie, la famiglia più semplice, la famiglia dove c’è una corrente d’amore e di vita: quella famiglia costituisce la Chiesa, i medici dicono che bisognerebbe cominciare dalla profilassi. E c’è migliore profilassi sociale di una famiglia serena, semplice, sana che vive la sua vita, fa crescere i figli e quindi li conduce a quella maturità. E se invece viene a mancare questa famiglia, se viene a mancare questo microcosmo, questa comunità, allora vedremo e purtroppo già vediamo i limiti sociali che questo comporta. Mi sono lasciato prendere perché vedete ho la grazia di conoscere tante famiglie. In questi anni di ministero sacerdotale ho visto tanti sposi che sono partiti anche con entusiasmo e poi forse per paura si sono un po’ rassegnati a vivere una sorta di mediocrità. Hanno avuto paura di vivere fino in fondo l’avventura dell’amore. Sia nell’aprirsi con generosità alla vita, sia nell’aprirsi alla storia, nel buttarsi dentro la storia. Ma ho visto anche tanti altri sposi che con la grazia di Dio, sempre invocata e sempre accolta hanno fatto dei passi da gigante, poco alla volta si sono aperti e hanno fatto delle scelte straordinarie. Io di questi sposi santi ne conosco veramente tanti. Non so, forse non saranno iscritti al catalogo dei santi, ma vi posso assicurare che questi sposi a me insegnano molto, danno molto, mi confermano nel mio ministero, mi invitano a viverlo ancora meglio, a non lamentarmi quando certe cose non vanno e a non chiudermi nella fatica quando anche la stanchezza si fa sentire. Sono questi sposi che veramente sono per me una risorsa e sono convinto che lo sono anche per la Chiesa. Noi dobbiamo insistere di più sul valore della famiglia, sulla famiglia come risorsa. Io per primo conosco tante situazioni che non vanno. Ricordo una sposa che un giorno mi disse con le lacrime agli occhi “Così deve andare il mio matrimonio? Non c’è proprio possibilità di cambiarlo” era una situazione coniugale veramente difficile da vivere, lei ne sentiva tutto il peso, non riusciva a intrecciarsi con il marito, il marito a volte presentava anche dei tratti di violenza “così deve andare il mio matrimonio”. Non sempre si hanno delle parole da dire però noi possiamo usare questo detto: “Non cercare delle scorciatoie”, abbi la fedeltà, abbi la fede e insieme il Signore vi può aiutare, non so se hanno risolto tutti i problemi ma so che oggi li vedo che camminano insieme. Quindi conosco tante situazioni dove tante famiglie hanno smarrito l’amore. E bisogna non insistere soltanto sulla famiglia con i suoi problemi, e vederla fragile. Come chiesa abbiamo il dovere di comunicare la speranza. Dobbiamo far emergere tutto il bene che è intorno la famiglia. Dobbiamo insistere sulla santità coniugale. Vedete i coniugi Beltrame-Quattrocchi, e ci sono già altre cause di beatificazione di coppie sante. E ci sono molti santi che erano sposati. Vedi ad esempio Bartolo Longo. Mettiamo in evidenza questi santi e le testimonianze più belle delle famiglie. Quando ho incominciato la pastorale familiare, mi sono reso conto che bisognava dare speranza agli sposi, far parlare loro, farli sentire protagonisti. Il corso prematrimoniale doveva servire per far accendere quella scintilla della fede. E ho notato che questi sposi riuscivano a comunicare più efficacemente, e tornavano a casa molto felici. (…)
Se la famiglia fosse un pacco, dovremmo scriverci sopra “molto fragile”. Ma se c’è la fede in Dio, allora sì che si rafforza. E qui entra in gioco la Chiesa, il suo ruolo, la sua vicinanza.
Ma quanti sono i problemi che affliggono una famiglia? Dobbiamo domandarci come aiutare gli sposi a risolvere i loro problemi, a vivere una sessualità libera da quell’ego che finisce nell’imporre le proprie esigenze. Dobbiamo aiutarli a farli capire come si fa il genitore. Questo è il compito della Chiesa. E soprattutto dobbiamo come Chiesa stare vicini alle famiglie che hanno una disabilità. Mai lasciarli soli. C’è grazie a Dio uno Stato che li aiuta, ma sul piano della fede chi li sostiene? Chi li accompagna? La disabilità schiaccia, appesantisce. Mi verrebbe da chiedere alle parrocchie se hanno un censimento di chi vive una disabilità e se si fa qualcosa per aiutarli. Allarghiamo l’orizzonte, i problemi sono tanti, ma tentiamoci. Non lasciamo che siano i media a dettare l’agenda della vita pastorale.
Un’ultima cosa. Io invito a distinguere il matrimonio e la famiglia. Il primo è il patto che lega l’uomo e la donna, mentre la famiglia è tutto quello che scaturisce da questo patto. Quello che va in crisi è il matrimonio, non la famiglia. C’è ancora un desiderio di famiglia. Ma poi a conti fatti spesso non si riesce a realizzarla. Quindi dobbiamo distinguere la dimensione coniugale da quella familiare. La Chiesa accompagna gli sposi, li aiuta a diventare coppia. Ricordo un amico sposo da molti anni che mi disse: con mia moglie condividiamo tutto, ma lei ha il 51% delle azioni. (risata in sala). Molti sposi hanno l’idea di condividere tutto al 50%, ma non è così. Nella vita può capitare che uno dei due deve portare il 90%. Questo è l’amore coniugale. E i figli imparano che l’amore è una cosa che si costruisce giorno per giorno ed è il migliore insegnamento che si possa ricevere. Partite dalla coniugalità che è un’arte che si impara. Aiutate gli sposi. Lasciate la parola a loro.