OMELIA ALLA SANTA MESSA CRISMALE    

Ischia, 5 aprile 2023

         Fratelli e sorelle,

         siamo qui riuniti questa sera per rendere grazie a Dio per il dono del ministero presbiterale.

         La Liturgia della Parola e quella della Benedizione degli Oli inseriscono il dono del presbiterato nella sua “radice prima”, “l’unzione del Battesimo”,[1] che ha il suo “sviluppo nella Confermazione e il suo compimento e sostegno nell’Eucarestia”. Ogni fedele laico partecipa “al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re”. “Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione”. «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, – scrive sant’Agostino – così chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell’unico sacerdote».[2]

         «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi – l’apostolo Pietro si sta rivolgendo ai battezzati come a “bambini appena nati” – venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (…). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,4-5.9).

         «A Colui che ci ama (Gesù Cristo) e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, – abbiamo ascoltato dal libro dell’Apocalisse – che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli. Amen» (1,5-6).

         Ogni battezzato deve prendere consapevolezza

         che è sacerdote: “incorporato a Cristo”, è unito a Lui e al suo sacrificio nell’offerta di sé stesso e di tutte le sue attività;

         che è profeta: accogliendo il Vangelo, deve annunziarlo con la parola e con le opere, denunciando coraggiosamente il male;

         che è re: è chiamato al servizio del Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia, chiamato a donare sé stesso nella carità e nella giustizia, in particolare a servire Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cfr. Mt 25,40).[3]

         Il nostro primo compito, carissimi fratelli presbiteri, è aiutare le persone che ci sono affidate a riscoprire il dono e la responsabilità legata al proprio Battesimo! È su di esso che si fonda la corresponsabilità, fondamentale per un autentico cammino sinodale.

         Prima noi siamo chiamati a vivere il “sacerdozio regale”, “sacerdozio comune”, detto anche “sacerdozio mariano”, perché è quello che ha vissuto anche Maria. Fare della nostra vita un’offerta gradita a Dio, essere testimoni del Risorto, pronti a seguirlo sulla via della croce, fare della nostra vita un dono di amore agli altri.

         È su di esso che si fonda il ministero presbiterale.

         Il dono del ministero presbiterale ci unisce a Cristo capo/servo e pastore. È Lui il nostro modello e, come Lui, abbiamo promesso il giorno della nostra ordinazione, promessa che tra poco rinnoveremo, vogliamo “lasciarci guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli”.

         L’ordinazione non ci pone al di sopra degli altri, ma a loro servizio, a imitazione del nostro unico Maestro e unico Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita (il servizio sommo per gli uomini!) (cfr. Mc 10,45). Egli, la sera prima di morire, ha posto un gesto, che deve essere l’icona di riferimento del nostro ministero: ha lavato i piedi agli apostoli e ha spiegato questo gesto: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri: infatti vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità vi dico: il servo non è più grande del suo padrone né l’apostolo è più grande di colui che l’ha mandato» (Gv 13,14-16).

         Carissimi fratelli presbiteri,

         siamo chiamati al primato del servizio, che è la concretizzazione del primato dell’amore.

         Le parole di Gesù: “dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” richiama il comandamento, che Egli chiama “mio” e “nuovo”: «che mi amiate gli uni gli altri; come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

         Su questo comandamento c’è un commento bellissimo dell’allora arcivescovo di Milano Montini, poi papa Paolo VI, in occasione della Messa crismale (30 marzo 1961, nel Duomo di Milano)[4], che è per me un punto di riferimento.

         “Amatevi come io vi ho amato”

         La parola sicut, come, “ci atterra, ci confonde, ci mortifica”. «Ma chi, chi potrà uguagliare l’amore di Cristo? E il Signore, quasi fosse cosa facile, non certo per irridere alla nostra debolezza, ma per sollevarla ad una nuova capacità, ci dice: “Amatevi come io vi ho amato”. Il Signore che ci ha amati per primo, il Signore che ci ha amati gratuitamente, infinitamente, eroicamente, il Signore che era la vita, dando la vita ci ha amati! (…) E ciò significa che noi siamo chiamati ad un amore esagerato, ad un amore che non ha misura, un amore che non ha confini».

         “Amatevi gli uni gli altri

         La carità deve essere invicem, «cioè “a vicenda”, cioè “fra noi”, fra noi Sacerdoti.  (…) La testimonianza che il Signore desidera che noi diamo al mondo è la grande affezione che noi Sacerdoti dobbiamo avere tra noi.

         Bisogna che ci amiamo gli uni gli altri».

         A questo punto l’arcivescovo Montini fa una richiesta di perdono a Cristo e ai presbiteri, che sento profondamente mia: «E nel marcare questa raccomandazione ( di amarsi gli uni gli altri), penso che io stesso non avrei autorità di continuarla, se non vi chiedessi perdono, Fratelli carissimi, se mai avessi per primo mancato a questo precetto, se non avessi dimostrato carità, se fossi stato tiepido, se fossi stato incapace, se avessi mancato con alcuni di voi al supremo comandamento di Cristo, quello di amarvi, di conoscervi, di seguirvi, di santificarvi, di essere vostro».

         Egli, poi, invita a rivedere la propria esistenza, i propri sentimenti, pensieri, atteggiamenti: «Se mai uno spirito di isolamento (io faccio da me), uno spirito di indifferenza (che me ne importa degli altri?), uno spirito di pura osservazione (io sto a vedere gli altri), uno spirito di sufficienza (io non ho bisogno d’alcuno) fosse in noi, sia sgombrato il nostro animo da questi arresti, da queste paralisi della carità e sentiamo davvero quello che il Signore ha voluto che fossimo: Fratelli».

         Come non fare nostra la sua esortazione finale?

         «Facciamo vedere ai nostri fedeli che ci vogliamo bene. Ben sapete, Confratelli, che la vita religiosa fiorisce e prospera nelle Parrocchie nelle quali i Sacerdoti sono uniti, dove essi danno esempio di complementarietà disciplinata e amica, dove non c’è maldicenza. Siamo dei deboli noi in questo difetto; purtroppo siamo critici gli uni degli altri, quando poi non diventiamo perfino maldicenti. Creiamo dunque questa carità, mettiamo in essere il mandato di Cristo: “Il mondo vedrà che siete miei discepoli”; il mondo capirà che il Vangelo è vivente e vigente nel nostro secolo, se noi saremo perfettamente amici e fratelli tra noi».

         Carissimi confratelli,

         il Signore ravvivi in noi la passione per Gesù Cristo e il suo Vangelo, rinvigorendo l’ardore apostolico!

Non abbiamo donato a Lui tutto noi stessi? Con l’impegno del celibato non abbiamo detto al Signore: “Sei Tu, Signore, l’unico mio bene”?

         Il rischio è che con il passare degli anni cominciamo a crearci spazi e tempi, in cui Lui non c’entra! Quel pensiero, quel sentimento, quella relazione, quell’oggetto, quel cedimento … che c’è di male? Inizia così una discesa libera verso il basso! È la mondanità che prende dimora dentro di noi! La mediocrità, la tristezza, la mancanza di zelo, l’eresia dell’azione ci sovrastano.

         Oggi vi invito a dire con me: “Sei Tu, Signore, l’unico mio bene!” e … lo testimoni la nostra vita!

Spirito del Signore gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri.
Riempi di amicizie discrete la loro solitudine.
Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze.
Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna.
Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro.
Liberali dalla paura di non farcela più.
Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze.
Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza.
Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano.
Fa’ risplendere di gioia i loro corpi.
Rivestili di abiti nuziali.
E cingili con cinture di luce.
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà. (Don Tonino Bello)

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[1] Nella Benedizione dell’olio per il crisma, tra poco, pregheremo così: “Ora ti preghiamo, Padre: santifica con la tua benedizione quest’olio … impregnalo della forza del tuo Spirito e della potenza che emana dal Cristo dal cui santo nome è chiamato crisma l’olio che consacra i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri”.

[2] Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 14

[3] Cfr. Ivi

[4] Il nostro sacerdozio. Il Presbitero nel magistero dell’Arcivescovo Montini, a cura di Ettore Malnati, Roma 2009, pp. 188- 195