Mons Galantino, è la prima volta che viene qui ad Ischia?

Eh già devo dire finalmente! Perché, pur essendo stato per 36 anni ad insegnare presso la facoltà teologica, purtroppo non mi sono concesso mai viaggi in queste terre stupende.

Parliamo del convegno diocesano. Quali sono le sfide della chiesa di Ischia per poter uscire e seguire Papa Francesco?

Penso di poter dire che sono le sfide un po’ di tutta la chiesa universale in questo momento. Quella cioè di liberarci intanto della autoreferenzialità. Penso che sia uno dei pericoli più grossi in questo momento, perché se siamo autoreferenziali riusciamo solo a guardare noi stessi, i nostri problemi, le nostre piccole speranze. Mentre se invece diventiamo anche noi ‘Chiesa in uscita’, impareremo anche noi non solo ad uscire per dare, ma anche per ricevere. Usciamo in missione in strada. Così facendo, facciamo diventare addirittura la strada, la nostra università, la nostra scuola.

Ischia è un’isola e noi isolani, per poter proteggere le nostre tradizioni, può capitare che ci chiudiamo mentalmente. Come fare allora per poter preservare la storia ma nello stesso momento accogliere il ‘nuovo’ di Papa Francesco?

Se devo essere sincero, non vedo questa chiusura di voi che vivete qui ad Ischia. Mi sembra quasi impossibile, anche perché l’isola non è soltanto un luogo da dove si parte ma molto spesso è un luogo dove si arriva. Penso ad esempio ai tanti turisti che vengono qui da voi. Secondo me basta semplicemente essere aperti, accoglienti, così come fate con i turisti, dovete farlo anche con quello che ci dice Papa Francesco con l’Evangelii Gaudium. Siate aperti, senza perdere le vostre identità, la vostra storia, ma nello stesso momento accogliere il nuovo, accogliere l’altro.

Cosa possiamo dire a quei sacerdoti che ancora non condividono al 100% la rivoluzione di Papa Francesco?

Se fosse solo qualche sacerdote, ne sarei felicissimo. E’ chiaro che il ‘nuovo’ che ci porta all’essenziale, che ci chiede un supplemento di impegno, che ci richiede un autocritica di noi stessi, che ci scomoda, non mi meraviglio. Non mi meraviglio che ci sia gente che faccia fatica ad interiorizzare quanto Papa Francesco ci sta donando. In fondo Lui ci sta donando il Vangelo. Allora io invito me prima di tutto, e poi tutti i sacerdoti ad aprire il proprio cuore allo Spirito di Dio che ci sta dando attraverso questo Papa. E’ faticoso, lo so, molte volte ci spiazza, però è uno spiazzamento che viene dal vento del Vangelo, dal vento dello Spirito di Dio.

Lei ritorna da un viaggio in Iraq. Ha lanciato una sfida alle famiglie italiane nei confronti delle famiglie irachene, in cosa consiste?

Sono arrivato da circa 24 ore dal Kurdistan iracheno dove si stanno ammassando migliaia di profughi cristiani. Non basta quello che la chiesa italiana con il contributo del milione di euro dell’otto per mille ha dato per queste persone. Ci sarà un progetto per la costruzione di un’università cattolica in Kurdistan per accogliere giovani iracheni cristiani cacciati dall’Iraq che quindi non possono più andare a scuola. Quindi stiamo lavorando su diversi piani: il piano culturale, della formazione, il piano della accoglienza, che non è solo per i cristiani perseguitati, ma anche per i Jazidi, per i gruppi di derivazioni zoroastrista. Guarda, quello che di bello ho visto nei 27 campi profughi che sono lì ad Erbil, è che non c’è differenza fra le persone. Quello che accomuna tutti non è la religione, quindi il cristianesimo, ma l’essere perseguitati in nome della propria appartenenza alla fedeltà. Noi non possiamo rimanere indifferenti. La cosa che mi ha colpito è che fra i profughi c’erano vescovi, c’erano i sacerdoti. Altro che chiacchiere. C’è gente che con il popolo si è messa in cammino. Noi come chiesa italiana non possiamo stare a guardare. E così ci è venuta quest’idea: farci carico come famiglie, come comunità parrocchiali, come presbiteri di accettare, accogliere, sostenere queste famiglie di profughi. Basti pensare che una famiglia di 5 persone lì spende meno di 5 euro al giorno per poter vivere. Quindi basta poco. Ma l’idea è anche di chiedere ai sacerdoti italiani di sostenere e adottare i sacerdoti profughi che sono lì ad Erbil.

Ritorniamo ad Ischia: mandi un messaggio agli isolani in questi giorni di convegno.

Non chiudetevi, non dovete avere paura del nuovo. Uscite. Avete un vescovo eccezionale che segue Papa Francesco, che ha voglia di annunciare il vangelo con gioia, seguendo la rivoluzione dell’Evangelii Gaudium. Custoditelo, custodite Padre Pietro, aiutatelo ad andare fuori, ad uscire insieme per il bene della Chiesa di Ischia.

di Lorenzo Russo